Salve a tutti. Ho quarantasei anni e
non mi posso lamentare. Faccio il redattore in una rivista femminile, guadagno
abbastanza bene da mantenere la mia famiglia, ho una moglie a cui voglio bene,
due figli adolescenti che non mi danno troppi problemi e, piano piano, sto
finendo di pagare il mutuo della casa, un appartamentino di tre locali più
servizi in un quartiere relativamente tranquillo di Milano.
Non mi posso
lamentare, dicevo. Be', non è del tutto vero, in realtà: ultimamente, mi capita
sempre più spesso di fare fatica a dormire. Il motivo ve lo spiegherò tra poco.
Per questo (e su consiglio del mio medico di famiglia, a cui sono molto
affezionato e di cui mi fido moltissimo), ho deciso di raccontare per iscritto
la storia di Debora la
Palla. Forse , se lo faccio, i ricordi smetteranno di
tormentarmi.
E stato tanto tempo
fa (eravamo alla fine degli anni Cinquanta), ma mi sembra che non sia passato
nemmeno un giorno: sempre più spesso, negli ultimi tempi, quando sono sul punto
di addormentarmi ecco che mi balza davanti agli occhi quel suo faccione da luna
piena, quei suoi capelli unticci, quegli occhi bovini che sembravano quasi
scomparire nella faccia bianco-latte butterata da concentrazioni rossastre di
acne, sfoghi e pustolette. F di lei che sto parlando, ovviamente: Debora la Palla. Cerco sempre
di scacciarla, mi divincolo tra le lenzuola per liberarmi della sua presenza,
lotto sull'orlo del sonno per togliermela dalla testa: a volte ci riesco, e mi
metto a dormire. A volte, però, sento il rumore, quel rumore. E allora non
dormo più.
La mamma le apre la
porta, e Debora non ha il coraggio di guardarla in faccia. Se ne sta li con gli
occhi bassi a fissare la vestaglia lisa, stretta in vita da una cintura di
stoffa macchiata dall'uso. Il solito odore di zuppa di cipolle permea la casa,
e Debora vi si rifugia quasi con impazienza, sperando che il familiare conforto
dell'abitudine attenui il bruciore dei graffi e il dolore della vergogna che le
infiamma le gengive.
La mamma le mette una
mano sotto il mento e le solleva la testa, costringendola a guardarla negli
occhi.