Nel laboratorio di genetica al terzo piano della
Clinica universitaria le luci sono spente. Le finestre danno sul parco. La luna
rende nitide le sagome degli alberi contro il cielo notturno. Al lato opposto
dell'edificio, sullo stesso piano del laboratorio in fondo a un lungo corridoio,
il reparto di rianimazione occupa due ampie sale e tre locali più piccoli
connessi. Le luci sono accese. Dall'autostrada che passa oltre il fiume si
possono vedere in controluce medici e infermieri muoversi, le loro ombre sulle
finestre smerigliate e sigillate. Sulla porta d'ingresso del laboratorio di
genetica c'è una targhetta con quattro nomi: G. Saliceti, A. Vasari, A.
Thompson e S. Pizzi. La porta della rianimazione è una doppia vetrata, senza
etichette. All'interno, nella seconda sala grande, su di un letto, privo di
conoscenza, Andrea Vasari muove solo il torace, per respirare. I tracciati
della sua attività cerebrale scorrono su di un monitor. L'attività è intensa.
—
Sogna — deduce un'infermiera, mentre inietta un
liquido nella soluzione fisiologica che pende dal trespolo accanto al letto.
—
Però non dorme — commenta Jean-Luc Volatier,
anestesiologo, rivolgendosi a Sergio Pizzi.
—
E come lo chiamiamo, se non sonno? — domanda Pizzi
con un tono sprezzante.
—
Chiamalo come vuoi. Ti ricordo però che dal son-
ci si sveglia, mentre qui abbiamo provato ogni tipo di
stimolo e non è successo niente. Intendo dire: niente di evidente nei
tracciati. Tu che sei intelligente, cosa ne pensi?
— Oh, io sono
solo un genetista...