Tra le case pencolanti, le balconate a traforo marce di polvere, gli anditi fetidi, le pareti calcinate, gli aliti della sozzura annidata in ogni interstizio, sola in mezzo a una via io vidi a Porto Said una figura strana. Ai lati, lungo i piedi delle case, si muoveva la gente miserabile del quartiere; e benché a pensarci bene non fosse molta, pareva che la strada ne formicolasse, tanto il brulichìo era uniforme e continuo. Attraverso i veli della polvere e i riverberi abbacinanti del sole, non riuscivo a fermare l'attenzione su alcuna cosa, come succede nei sogni. Ma poi, proprio nel mezzo della via (una strada qualsiasi identica alle mille altre, che si perdeva a vista d'occhio in una prospettiva di baracche fastose e crollanti) proprio nel mezzo, immerso completamente nel sole, scorsi un uomo, un arabo forse, vestito di una larga palandrana bianca, in testa una specie di cappuccio - o così mi parve - ugualmente bianco. Camminava lentamente in mezzo alla strada, come dondolando, quasi stesse cercando qualcosa, o titubasse, o fosse anche un poco storno. Si andava allontanando tra le buche polverose sempre con quel suo passo d'orso, senza che nessuno gli badasse e l'insieme suo, in quella strada e in quell'ora, pareva concentrare in sé con straordinaria intensità tutto il mondo che lo contornava.
Furono pochi istanti. Solo dopo che ne ebbi tratto via gli sguardi mi accorsi che l'uomo, e specialmente il suo passo inconsueto mi erano di colpo entrati nell'animo senza che sapessi spiegarmene la ragione. "Guarda che buffo quello là in fondo!" dissi al compagno, e speravo da lui una parola banale che riportasse tutto alla normalità (perché sentivo essere nata in me certa inquietudine). Ciò dicendo diressi ancora gli sguardi in fondo alla strada per osservarlo.
"Chi buffo?" fece il mio compagno. Io risposi: "Ma sì, quell'uomo che traballa in mezzo alla strada".
Mentre dicevo così l'uomo disparve. Non so se fosse entrato in una casa, o in un vicolo, o inghiottito dal brulichìo che strisciava lungo le case, o addirittura fosse svanito nel nulla, bruciato dai riverberi meridiani. "Dove? dove?" disse il mio compagno e io risposi: "Era là, ma adesso è scomparso".
Poi risalimmo in macchina e si andò in giro benché fossero appena le due e facesse caldo. L'inquietudine non c'era più e si rideva facilmente per stupidaggini qualsiasi, fino a che si giunse ai confini del borgo indigeno dove i falansteri polverosi cessavano, cominciava la sabbia e al sole resistevano alcune baracche luride, che per pietà speravo fossero disabitate. Invece, guardando meglio, mi accorsi che un filo di fumo, quasi invisibile tra le vampate del sole, saliva su da uno di quei tuguri, alzandosi con fatica al cielo. Uomini dunque vivevano là dentro, pensai con rimorso, mentre rimuovevo un pezzetto di paglia da una manica del mio vestito bianco.
Stavo così gingillandomi con queste filantropie da turista quando mi mancò il respiro. "Che gente!" stavo dicendo al compagno. "Guarda quel ragazzetto con una terrina in mano, per esempio, che cosa spera di..." Non terminai perché gli sguardi, non potendo sostare per la luce su alcuna cosa e vagando irrequieti, si posarono su di un uomo vestito di una palanàrana bianca, che se n'andava dondolando al di là dei tuguri, in mezzo alla sabbia, verso la sponda di una laguna.