Mi ricordo, raccontava di un certo Luigi Bertàn, un bravo giovanotto, di buona famiglia, unico figlio, orfano, fidanzato di una certa Màrion, una delle più belle ragazze di Treviso. Ma questa stupenda creatura muore, che non ha ancora diciott’anni, peritonite o che so io. Ora nessuno può immaginare la disperazione del Bertàn. Si chiude in casa, non vuol più vedere nessuno.
I vecchi amici battono alla porta: «Gino, fatti almeno vedere, noi tutti si capisce il tuo dolore, ma questa è una esagerazione, tu che eri il più allegro di noi, tu che eri l’anima della compagnia». Ma lui niente, non risponde, non apre, insomma un caso pietoso.
Credere o non credere, per due anni interi così. Finché un giorno due dei vècchi amici riescono, supplicando, a farsi aprire. Lo abbracciano, cercano di consolarlo, era diventato uno scheletro, con una barba lunga così.
«Senti, Gino, hai sofferto abbastanza, non puoi assolutamente continuare, hai il dovere di ritornare alla vita».
Fatto è che, per tirarlo su, gli amici gli combinano una festa in suo onore, invitano un sacco di belle ragazze, champagne, musica, allegria. E bisognava vederlo, quella sera, Gino Bertàn, sbarbato, col vestito delle grandi occasioni, sembrava diventato un altro, brillante e spiritoso come ai bei tempi.
Ma a un certo punto della festa lui si apparta in un angolo con una bionda e parla, parla, parla, come fanno gli innamorati.
«Chi è quella bionda»? uno domanda.
Rispondono: «Non so, deve essere forestiera, da queste parti non si è mai vista».
Rispondono: «Pare che sia una amica della Sandra Bortolin». Dicono: «Comunque, lasciamolo in pace, Dio voglia che questa bionda gli faccia passare le paturnie». Dicono: «Si vede proprio che è il suo tipo. Mica per niente, ve ne siete accorti? ha gli stessi occhi della povera Màrion». «E’ vero, è vero, accidenti come le assomiglia».
Per tutta la sera quei due insieme, fino a che la festa si scioglie, erano già passate le ore tre.
Gino accompagnerà la bella in macchina a casa. Escono, lei ha un brivido, si è messo infatti a soffiare il vento.
«Si copra con Questo», fa lui. E le mette sulle spalle il suo pullover.
«Dove l’accompagno, signorina»? «Da quella parte» risponde lei facendo segno. «Ma in che via precisamente»?
«Non importa, non importa, le dirò io dove fermarsi, magari i miei sono ancora svegli ad aspettarmi, non vorrei che ci vedessero insieme». Vanno, vanno, per le strade deserte. Ormai sono alla periferia.
«Ecco» fa la ragazza a un certo punto. «Adesso siamo arrivati. No, non si disturbi a scendere. Grazie di tutto. E arrivederci».
«Ma il suo indirizzo? Il suo telefono? Ci potremo rivedere, no»?
Lei, già scesa di macchina, sorride: «Eh, dovrò pur restituirle il Pullover»! Ora fa un cenno d’addio con la mano, è già scomparsa dietro l’angolo.
Un po frastornato lui riparte, avviandosi in direzione di casa, quando gli viene un dubbio strano: «Ma dove l’ho accompagnata? Che posto era»?
Torna indietro, ritrova il luogo, svolta l’angolo dove lei è scomparsa.
C’è una strada buia, non si vede niente.
Lui accende i fari. Laggiù in fondo una cancellata.
Si avvicina. Il suo pullover pende da una delle aste di ferro. E’ il recinto del cimitero dove Màrion è sepolta.
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