Tales of Mystery and Imagination

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Valerio Evangelisti: Fluidità corporea

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1
Vi hanno mai detto “Guarda che faccia da delinquente”? Io me lo sono sentito dire tante volte che ho perso il conto, da quando una graffetta tiene ferma la mia effigie in un dossier criminale. Ciò che è paradossale è che, ora che sono morto, di me non è rimasta che la faccia, destinata a sopravvivere, per decenni se non per secoli, nella foto segnaletica che mi fece la polizia quando mi arrestò.
E per decenni o per secoli chiunque vedrà quella foto ripeterà: “Guarda che faccia da delinquente”.
2
Non aspiravo a questa semi-immortalità. Me la sono ritrovata addosso senza averla preventivata. Direte: è ciò che accade normalmente con le fotografie. Sì, però una foto segnaletica non è una rappresentazione oggettiva. Ti raffigura in un attimo della tua vita particolarmente drammatico.
Non c’è oggettività: se l’identikit è essere prigionieri della soggettività altrui, la foto segnaletica è l’essere prigionieri del proprio tormento e della propria umiliazione.
3.
Chissà dove sono finite le tante foto che mi fecero da ragazzo. Lì ero sempre sorridente. Fino ai 12 anni di età, io, Graham Young, intenerivo le vecchie signore e venivo coperto di complimenti. “Un cherubino biondo”, così mi chiamavano. Una delle meraviglie dell’angolo verde del Berkshire in cui ero cresciuto. Da parte mia, ero incuriosito da tutti. Pur senza avere malattie particolari, provavo difficoltà a muovere bene gli arti. Li sentivo estranei. Invece, chi avevo attorno sembrava avere sul corpo un dominio perfetto.
4.
Mi piaceva la gente. Proprio così. Come si muoveva, come agiva. Naturalmente, oggetto privilegiato della mia curiosità erano i miei familiari. Mi sentivo goffo, rispetto a loro. Ammiravo mio padre quando sedeva con disinvoltura in poltrona, le gambe accavallate e il giornale tra le mani. Ammiravo mia madre, mentre si muoveva con eleganza nella piccola cucina di casa nostra.
NON STARE SEMPRE IMPALATO A GUARDARMI, GRAHAM. GIOCA, FAI QUALCOSA.
5.
Soprattutto mi incantava la mia sorellina. Un batuffolo biondo, grazioso quanto me, ma molto più mobile. La pelle delle sue manine mi sembrava trasparente, e adoravo la motilità delle sue dita. Ci doveva essere un segreto dietro a tanta grazia. Non poteva trattarsi di un fattore meccanico. Quello lo possedevo anch’io. Doveva essere questione di fluidi, di composizione chimica.
6.
Lo constatavo soprattutto in Alex, il mio migliore amico. Agile, elastico, pronto al salto e alla corsa. Una sola volta lo vidi perdere la sua meravigliosa energia. Gli avevo fatto bere certa birra scadente, dimenticata in cantina. Fu la conferma che era la chimica a governare muscoli e nervi. Impadronirsi della chimica significava dominare il moto e la sua assenza.
STO MALE! NON RIESCO NEMMENO AD ALZARMI!


7. (Scena completamente scura, con qualche indistinta sfumatura più chiara)
Decisi che la chimica sarebbe stata il mio terreno. Avrei sperimentato il suo potere di comando sui corpi. Così fu. Dopo i tentativi iniziali, ebbi anni di calma per approfondire le mie conoscenze. Ma fu solo molto più tardi che potei fare della mia passione il mio mestiere. Era il 1971. Avevo 21 anni.
8.
Dopo un corso professionale, risposi all’annuncio di un giornale locale. Una piccola fabbrica di Bovington, nell’Hertfordshire, cercava un magazziniere. Produceva strumenti ottici. Nulla a che fare con la chimica, direte voi. Ma che cos’è la visione, se non il prodotto di meravigliosi processi chimici che si rinnovano di istante in istante?
9.
Al colloquio Godfrey Foster, il padrone dello stabilimento sembrò perplesso. Aveva trovato bizzarra la mia domanda di lavoro. Mi proponevo come “esperto in farmacologia, in tossicologia e in chimica organica e inorganica”. Non vedeva il nesso con l’attività di magazziniere. Poveretto, era un buon uomo, ma non troppo perspicace.
DI’, RAGAZZO, NON E’ CHE HAI QUALCHE ROTELLA FUORI POSTO?
NO, SIGNORE. PUO’ SCRIVERE AL MEDICO DEL MIO PAESE, SE VUOLE.
10.
Scrisse sul serio, e la risposta lo soddisfece. Fui assunto. Facevo un po’ di tutto, ma lo facevo volentieri. I miei compagni di lavoro mi piacquero subito. Erano attivi, fluidi nei movimenti. Toccavano ottiche complesse e strumenti delicati con grazia e abilità. Era un piacere starli a guardare.
11.
Tutti mi trovavano simpatico, e apprezzavano il mio eterno sorriso. C’erano operai giovani e anziani, fieri della perizia delle loro dita. Il mio preferito era Bob Egle, il capo magazziniere. Un uomo brusco ma cordiale, dai baffoni a manubrio. Era prossimo alla sessantina, ma maneggiava plichi anche pesanti con la disinvoltura di un ragazzo. I suoi processi chimici dovevano avere del miracoloso.
LO SAI PERCHE’ MI PIACI, GRAHAM? PERCHE’ SEI SEMPRE ALLEGRO!
E’ TUTTO COSI’ BELLO, SIGNOR EGLE!
12.
Poi c’erano Frederick Biggs, e Ronald Hewitt, l’autista. Tutta gente simpatica ed esperta. Mi offrivano sigarette e mi pagavano da bere. Presi l’abitudine di andare in fabbrica, la mattina, con un thermos pieno di tè caldo. Così li avevo tutti intorno, vocianti e cordiali.
NON PENSI MAI ALLE RAGAZZE, GRAHAM? COSA FAI ALLA SERA?
OH, SIGNOR BIGGS, SPERIMENTO!
PERDIO, RAGAZZO, SAREBBE ORA CHE TU PASSASSI AD ALTRE… SPERIMENTAZIONI!
13.
In realtà, non sentivo il bisogno di ragazze. Mi piacevano, sì, specie quando mi ricordavano mia madre e l’eleganza delle sue movenze. Ma la loro composizione chimica non era diversa da quella degli uomini, in fondo. Preferivo passare le sere in cantina, dove avevo attrezzato un piccolo laboratorio. La vera festa era presentarmi in fabbrica col mio thermos.
NIENTE TE’, STAMATTINA, GRAHAM. DA QUALCHE GIORNO NON MI SENTO MOLTO BENE.
LEI E’ TROPPO ATTIVO, SIGNOR EGLE. UN CERTO RALLENTAMENTO RIENTRA TRA GLI SVILUPPI NATURALI DEL MOTO.
NON PARLARE STRANO, GRAHAM. STO DAVVERO MALE.
14.
Decisi di rallentare del tutto il signor Egle. Del resto, era l’intero personale della fabbrica che, a un mese dalla mia assunzione, stava rallentando. Chi aveva diarrea, chi dolori di stomaco, chi perdeva i capelli. Erano divenuti delle larve. Ci fu anche un’inchiesta ufficiale, ma solo quando sospesi le trasformazioni chimiche interne al signor Egle vi fu vero allarme.
MIO DIO, E’ MORTO!
NON STARE LI’ IMPALATO, GRAHAM! CORRI A CHIAMARE UN MEDICO!
E’ TANTO BELLO, COSI’ FERMO!
BELLO? SEI IMPAZZITO, GRAHAM? MUOVITI, TELEFONA AL DOTTORE!
15.
Nei giorni successivi morì anche il signor Hewitt. Venne a Bovingdon l’ispettore John Kirkland, della polizia di Hempstead. Non mi piacque neanche un poco: tozzo, lento, con le dita grosse. Qualcuno gli parlò del mio tè. Mi sommerse di domande, poi pretese di venire a casa mia. In cantina notò pentole e provette.
E’ QUI CHE PREPARI IL TE’ PER GLI ALTRI OPERAI?
NO, SIGNORE. QUI PREPARO IL TALLIO CHE POI METTO NEL TE’.
TALLIO? MA E’ UN VELENO POTENTISSIMO!
OH, AUMENTO LE DOSI PIANO PIANO, IN MODO DA RALLENTARE LA LORO CHIMICA. LEI NON IMMAGINA, ISPETTORE, QUANTA CURA SIA NECESSARIA PER FRENARE ADAGIO IL CORSO DEI FLUIDI UMANI.
16.
Seguirono tempi cupi e agitati. Mi chiusero in carcere, e ogni tanto qualcuno mi chiedeva perché l’avevo fatto. Le mie spiegazioni cadevano nel vuoto. Quella gente non aveva nessun interesse per la dinamica dei corpi. Una volta dissi loro che mi sentivo goffo, e che solo rallentando gli altri provavo l’ebbrezza di sentirmi agile e flessuoso. Era una verità che raramente avevo confessato a me stesso, ma non capirono nemmeno quella. Da quell’istante mi misi zitto.
17.
La parte più dolorosa fu il processo, che iniziò a St Albans, nel 1972 . Un agente di Scotland Yard si era preso la briga di frugare nel mio passato. Chiamato a testimoniare, disse in udienza cose che non mi fecero piacere.
GRAHAM YOUNG HA TRASCORSO NOVE ANNI DELLA SUA ADOLESCENZA NEL MANICOMIO CRIMINALE DI BROADMORE. VI ENTRO’ NEL 1962, APPENA DODICENNE, DOPO AVERE AVVELENATO IL PADRE, LA SORELLA E UN AMICO.
18.
Quell’agente non aveva nessun diritto di rievocare, in un momento così triste, l’istante più bello della mia giovinezza. Ricordai con nostalgia le manine trasparenti della mia sorellina, rese ancor più diafane dai processi chimici che rallentavano la circolazione del sangue fino ad arrestarla. Rividi mio padre, riverso con gli occhi vitrei sulla poltrona, il giornale caduto ai suoi piedi. Pensai ad Alex, reso immobile dalle magiche miscele che gli avevo fatto bere.
19.
Fui condannato a essere rinchiuso a vita in un manicomio criminale di massima sicurezza. Non so per quanti anni vi rimasi. Ero spesso in isolamento, e raramente potevo osservare, negli altri detenuti, la dinamica del movimento umano che continuava a essere il mio unico interesse. Provai a fare esperimenti su me stesso, miscelando orina, sperma e ogni altro liquido che potei trovare. Un giorno morii, non ricordo il perché. Non credo per agenti esterni. Probabilmente mi rallentai da solo.
20. Il mio vero rammarico è quella foto segnaletica, mia unica reliquia. Non mi rende giustizia. Io ero molto più bello, e ricercato per il mio buonumore. E’ terribile pensare che resterò così per sempre, condannato all’immobilità e alla goffaggine. Ma il vero incubo, per me, è la graffetta che tiene ferma la mia foto. Toglietela, vi prego. Voglio muovermi.

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