Tales of Mystery and Imagination

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Mario Giorgi: Alle spalle



"Scorrevole, scorrevole, qualcosa innanzitutto di scorrevole" pensava James. Naturalmente non immaginava che un autentico A.C. scuotesse desolatamente la testa, appollaiato alle sue spalle. Leo, si chiamava Leo il suo personal A.C.

James si grattò la fronte e impugnò la penna, per dare inizio al suo lavoro. Ma una larga macchia d'inchiostro, liquida, schiumosa e perfino con qualche microbollicina, una macchia uscita inesorabilmente dalla penna per via del colpo di polso un po' troppo nervoso, costrinse lo stesso James ad accartocciare il foglio prima ancora di avere scritto "cap".

— Cominciamo bene! — esclamò James, urtando con il gomito Leo, che dopo tanti anni non si era ancora abituato alle improvvise goffaggini del suo protetto.

Trentacinque anni. "Trentacinque anni di gomitate nelle parti genitali", pensò Leo con forbitezza. E benché lui stesso non sapesse dire a che sesso appartenesse, quel gomito piantato lì, poco sotto il ventre, gli procurava sempre un certo prurito, anche dopo trentacinque anni.

Ma James, poverino, non ne sapeva nulla. Puoi ragionevolmente immaginare che qualcuno ti segua dappertutto, sempre, da quando esci da tua madre fino a quando non ti chiudono il coperchio della bara sulla faccia? No, è ovvio. Ci sono situazioni in cui non è decettabile l'idea che qualcun altro sia presente. Quando fai i tuoi bisogni, per esempio. Oppure mentre fai l'amore. Oppure... No, meglio non pensarci. Fantasie, stupide fantasie.



Eppure Leo non lo mollava mai, gli stava sempre attaccato, e doveva quindi sorbirsi per intero quel penoso spettacolo quotidiano che noi di norma risparmiamo alla vista degli altri. Leo era sempre lì, in tutte le occasioni, come ogni A.C. che si rispetti. A dire la verità alcuni, di recente, avevano dato segni di impazienza, si era addirittura scoperto qualche caso di assenteismo. Naturalmente erano stati sostituiti subito.

Leo non aveva mai corso questo rischio. Voleva bene al suo E.U., gli si era affezionato fin dai primi giorni. Quando poi il paraurti di quel camion gli asportò in un sol colpo tutte le parti prominenti del volto, costringendolo a una delicata operazione di restauro dei lineamenti, Leo decise che avrebbe fatto anche l'impossibile per mantenere James in uno stato di equilibrio psicoeffe.

E infatti James, che ora tentava timidamente i primi approcci al nuovo incipit, dopo aver asciugato con la cravatta l'enorme macchia d'inchiostro che, muovendo dal bordo del quaderno, si estendeva fino al margine del tavolo e gocciolava ormai sul pavimento, James aveva fatto strada. Grazie anche all'abrasione dei polpastrelli e a uno spaventoso calo della melanina in tutto il corpo, dovuto probabilmente ai postumi dell'operazione, James non era più un negro. Non solo nessuno lo riconosceva come tale, ma lui stesso non poteva ricordare quanto andasse fiero dei suoi muscoli, del suo fisico statuario, della sua vivacità e allegria e prontezza di spirito, nonché della stupenda cromatura bruno-oro della sua antica carnagione.

Ora Leo osservava un ometto striminzito, gracile, pallido e anche leggermente gobbo, piegato sulla pagina quasi come un vecchietto. Gli occhiali di James portavano lenti spesse un dito e poggiavano su un naso di acciaio, perfettamente regolare ma assolutamente falso, quasi disgustoso.

"Scorrevole scorrevole" continuava a pensare James, immobile. Doveva a tutti i costi consegnare dieci cartelle, almeno dieci, dieci cartelle entro la mattina seguente, altrimenti erano guai per il suo padrone e per l'anticipo di due miliardi, versato dal nuovo editore, e guai anche per lui, James, a cui era toccato il tre per cento.

Ma le parole non venivano, il meccanismo non andava in moto. Allora Leo, impietosito, gli soffiò delicatamente in un orecchio, quello di avorio (l'altro era in lega leggera): James si scosse, toccò il lobo e cominciò.

"Mi riattaccarono il braccio con un'operazione chirurgica mai tentata fino a quel momento. Si erano esercitati per anni, su centinaia di cavie, soprattutto scimmie, sollevando le giuste proteste delle organizzazioni filo-animalesche. Ma nessun essere umano, prima di me, aveva subito quel trattamento.

Mi riattaccarono il braccio come a un manichino, incastrando l'estremità dell'osso dentro il busto. I primi giorni il dolore fu tremendo, insopportabile. Sentivo nella spalla un braciere sempre acceso, con improvvise sciabolate che mi facevano sussultare ovunque fossi, sonno compreso. Mia moglie, dopo la prima settimana, chiese il permesso di dormire sola: i miei continui lamenti, le grida lancinanti nel corso della notte le impedivano di dormire.

Ebbi difficoltà a darle il mio assenso. Ho sempre pensato che, quando si è sposati, più uno soffre più l'altro deve essere disposto a stargli vicino. Anche lei la pensava così, mi rispose, ma c'è un limite a tutto. Una notte decise di registrare il mio sonno. Cambiava lato ogni quarantacinque minuti (tanto non dormiva!). Riempì cinque C90 e me le fece ascoltare. Al lato B della seconda mi arresi: era effettivamente un concerto intollerabile.

Mia moglie prese dunque a dormire con mia figlia più grande, Cyndi. Cyndi ha tredici anni, appena com piuti, e per l'appunto in occasione dell'ultimo compleanno ha preteso un nuovo letto, un letto a una piazza e mezzo. Dice che così stanno più comodi quando si sdraia con i suoi amichetti per ascoltare gli ultimi CD. Protestai con lo sguardo, cercando subito quello di mia moglie, ma lei alzò le spalle e non mi diede soddisfazione.

"Non si sa più che fare con questi ragazzi" mi disse quella notte, quando fummo a letto. "È impossibile contenere la loro esuberanza. A tredici anni Cyndi ha già avuto più rapporti sessuali di sua madre". "Che cos'è? Alludi?" provai a replicare. "No no..." disse lei. E spense la luce. James si grattò la spalla. Da un po' di tempo un fastidioso prurito lo costringeva a quel gesto ripetuto, che suscitava in Leo un'insoffc enza quasi umana. Uno spettatore invisibile, che si fosse trovato in quella stanza, avrebbe rilevato che le mani di Leo circondavano minacciosamente il collo di James, mentre con la bocca spalancata tentava di azzannargli un orecchio, ogni volta che lo stesso James andava con la mano sinistra a cercare la spalla destra. James naturalmente non si accorgeva di nulla: mai voluto sospettare dell'esistenza di Leo. E lo stesso Leo non poteva supporre che in quella stanza ci fosse effettivamente uno spettatore. Leo era stato addestrato a guardare oltre la materia e credeva, in buona fede, di poter vedere tutto. E invece, in quel momento, un Ispettore del Gran Consiglio A.C. era sceso tra loro, tra James e Leo, per una verifica sul campo: all'insaputa di Leo, naturalmente.

James, tuttavia, forse a causa dell'ipersensibilità dei bulloni che gli spuntavano da entrambe le tempie, avvertì nell'aria un mutamento di vibrazioni. Leo lo guardò sorpreso, non potendo interpretare quello strano turbamento, e cominciò seriamente a preoccuparsi per le condizioni di salute del suo gracile protetto. Fece di tutto: saltò sul tavolo, si tirò i capelli, si batté entrambi i pugni sul petto, finché James non decise di strappare il foglio dalla macchina per scrivere e ricominciare da capo.

* Non raccontarmi il finale.

* Come?

* Non raccontarmi il finale, per favore.

Frank sapeva bene che la moglie, di tanto in tanto, riemergeva all'improvviso da un mondo tutto suo, di cui si doveva intuire il prima e il dopo, il come e il quando, senza far domande. Sapeva anche che era pericoloso contraddirla, molto pericoloso. E tuttavia non si trattenne.

— Perché?

— Non voglio guastarmi la sorpresa. Voglio la sorpresa, la voglio, ne ho diritto.

— Cara, non è possibile! C'è tanta gente che...

— Non cominciare! Tu lo fai apposta, io lo so, ti conosco.

— Ma cara!...

— Nooo... non lo voglio sapere, non me lo devi dire, non me lo devi direee...

Frank si fermò. Evitò di guardarla negli occhi, perché già le si riempivano di lacrime, ne era sicuro. E ogni volta che la vedeva piangere, malgrado tutto, non poteva fare a meno di commuoversi.

Si erano conosciuti cinque anni prima, a una festa di beneficenza. La madre di Laura, promotrice della serata, era particolarmente sensibile ai grandi personaggi, e Frank, già allora, godeva di ottima reputazione, molti lo consideravano un grande innovatore, alcuni addirittura l'inventore del best-seller. Un invito più che inevitabile, dunque. La signora lo introdusse personalmente nella grande villa, piena di ospiti e di musiche. Frank strinse parecchie mani e sbirciò altrettanti décolleté, mangiò tartine e bevve champagne in quantità, ma non si sentì a suo agio finché non fece conoscenza con Laura, la giovane e ombrosa padroncina di casa.

Mentre tutti brindavano, ballavano, chiacchieravano, giocavano o improvvisavano striptease, Laura se ne stava in disparte, ai margini della piscina, chiusa nella sua figura alta, sottile, i magnifici capelli rossi ad accarezzare le spalle ben tornite. Piangeva, in silenzio. Perché?

Fin dalla prima volta, Frank ebbe la sensazione che quel modo di piangere lo colpisse direttamente al cuore. Gli occhi erano spalancati, le labbra dischiuse quasi in un'espressione di sollievo, e tutto il volto s'illuminava, beato. Sembrava che nel pianto, in quell'insana inclinazione al pianto che tante volte, in seguito, lo fece spazientire, lei traesse la linfa per la sua esistenza, per la sua limpida, eterea, insostenibile bellezza. "È un delitto essere così belle" pensò Frank mentre si avvicinava, cercando il fazzoletto nella tasca. "È un'offesa per tutte le altre donne".

Laura sussultò, presagendo il fruscio del fazzoletto, e i suoi occhi azzurrissimi si posarono su quelli di Frank e lo invitarono ad annegare nel suo pianto...

Ora, accasciata e ormai quasi sprofondata nella carrozzella, Laura non gli faceva più lo stesso effetto. Detestava quelle lacrime mute, insensate, che si mettevano in moto per un nonnulla, spesso anche - sospettava Frank - semplicemente per dispetto. Eppure doveva stare attento, tenere lo sguardo di lato, fisso su qualche oggetto, oppure su quelle povere gambe senza vita, ma non alzarlo mai, non azzardarsi mai a dirigerlo sulle pupille di lei, perché quegli occhi azzurrissimi lo trafiggevano, gli risucchiavano le forze, vincevano la sua virile resistenza, e allora anche lui, molto spesso, si abbandonava al pianto.

"Ci risiamo" pensò James, e l'Ispettore sul momento non capì cosa intendesse, mentre Leo strizzava gli occhi indispettito. James temeva a volte di non essere sufficientemente sorvegliato. Si rendeva conto che, con il passare dei secoli, molte storie assomigliavano in modo sorprendente a molte altre storie e che molti personaggi, se non per il nome e patronimico, potevano assomigliare come gocce d'acqua a molti altri personaggi.

D'altronde sapeva anche che il padrone esigeva "una certa ripetitività" e che non c'era alcuna sfumatura ironica in quella richiesta. Però un marito leale e insoddisfatto, il rapido sfiorire della bellezza muliebre... Quante volte ci aveva lavorato sopra? In quante centinaia di modi aveva cucinato quella storia?

Leo gli appoggiò una mano sulla spalla. James se la grattò, ma Leo non se la prese. L'Ispettore sorrise compiaciuto. Leo non aveva mai amato quel lavoro. In cuor suo, credeva sinceramente che James fosse uno scrittore di talento e che quindi lo sprecasse banalmente, mettendolo al servizio di quel padrone avido e ignorante. Come tutti gli A.C., però, Leo non aveva una minima idea di letteratura. Gli A.C. non sanno leggere, è notorio, sono del tutto analfabeti. Un A.C. che imparasse a leggere e scrivere perderebbe immediatamente tutti i suoi poteri, non sarebbe più un A.C. Si racconta che alcuni, tentati dal continuo accanirsi dei loro E.U. su libri e quaderni, abbiano finito per incuriosirsi. La leggenda dice che ancora vagano per la terra, non più A.C. ma nemmeno veri E.U., e predicano invano una sorta di riconciliazione con la Natura. Non possono essere più espliciti, perché loro stessi, privati dei poteri specifici, hanno una percezione assai nebulosa delle cose. E solo il ricordo di una precedente perspicacia li fa agitare e sbraitare, istintivamente, per richiamare l'attenzione degli E.U. dubbiosi o pensierosi. Vivono comunque tutti nel deserto.

Alle spalle di Leo, l'Ispettore, il cui pensiero conteneva per intero il pensiero di Leo e conservava inoltre un discreto margine di libertà, rifletteva sull'opportunità di concedere a Leo qualche giorno di ferie. In fondo non aveva mai staccato un attimo. Anche nel periodo dell'incidente, e poi durante la convalescenza e la rieducazione, Leo non si era mai allontanato da James, dimostrando un attaccamento al proprio compito veramente encomiabile. L'Ispettore ipotizzava una sospensione, un piccolo infarto, qualcosa che costringesse James a letto, immobile, e magari anche senza pensieri. Mentre ancora indugiava perplesso su questa possibilità, l'Ispettore vide James accasciarsi sulla scrivania, la penna scivolare a terra e perdere il cappuccio, la mano di Leo che tentava inutilmente di afferrare James (gli A.C. non hanno mai perso del tutto questo istinto) e infine il pendolo dell'orologio a muro battere il primo tocco delle cinque. "Non bisognerebbe mai distrarsi" pensò con un certo disappunto, e si riferiva con ogni probabilità al noto inconveniente per cui, se un Ispettore concentra la sua attenzione su un E.U., ha a disposizione solo un quarto di secondo per annullare l'input, che altrimenti trasforma automaticamente in fatto l'idea che l'Ispettore ha concepito. Si tratta dell'esaudimento istantaneo di desiderio", una facoltà esclusiva degli Ispettori.

Leo parve contrariato dall'evento, addirittura impaurito. Si guardava intorno per chiamare aiuto, ma insieme come intuendo che qualcuno o qualcosa aveva agito su James a sua insaputa. Il sincero dolore di Leo commosse l'Ispettore, che decise di portarlo subito con sé, senza attendere l'arrivo dei soccorsi.

E in effetti James, nello stato onirico pre-mortale in cui si trovava, intuì il fruscio di due figure che si levavano da terra e attraversavano il soffitto senza il minimo sforzo. E molti anni dopo, uscito dalla schiavitù della macchina a ossigeno che lo teneva in vita artificialmente, quella strana immagine gli ritornò alla mente, lieve e carezzevole come una piuma.

Da lì, da quell'improbabile visione che nessuno potè mai condividere, e di cui lo stesso James ebbe spesso occasione di dubitare, nacque quel capolavoro che ha titolo "Due piume", ancor oggi studiato, ammirato e variamente interpretato da milioni di lettori in tutto il mondo.

5 comments:

Mario Giorgi said...

Sono Mario Giorgi (Bologna, 1956), autore del brano "Alle spalle" qui pubblicato senza mia autorizzazione e con una foto che non è la mia, bensì di un omonimo (di nascita argentina, par di capire). Ormai il brano è pubblicato e quindi l'autorizzazione superflua, ma potrei spedirvi una mia foto, giusto per non attribuire il brano stesso alla persona sbagliata.
Scrivete, se vi interessa ricevere la foto, a mario.giorgi@gmail.com

. said...

Ovviamente ci scusiamo per lo sbaglio, che crediamo di aver risolto cambiando la foto. Comunque, se Lei preferisce, possiamo sopprimere l’intero racconto. Ci faccia sapere e procederemo immediatamente. Distinti saluti.

Mario Giorgi said...

È stato solo l'effetto straniante di quella foto, un po' come guardarsi allo specchio e non riconoscersi... Ma il racconto non lo sopprimerei, la sola espressione mi fa impressione... In fondo, sono in magnifica compagnia. Grazie della pronta risposta e buon proseguimento.

. said...
This comment has been removed by the author.
. said...

Concordiamo con Lei: il verbo, in generale, fa venire i brividi. E poi in particolare, in questo caso concreto, ci sembrerebbe veramente terribile la perdita di un grande racconto che merita di essere in buona compagnia. Ci auguriamo che ci siano ancora tanti di questi doni offerti da Lei agli amanti della buona lettura. Un fraternal abrazo.

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