Tales of Mystery and Imagination

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Barbara Garlaschelli: Prima della rivolta




II corpo, uno scienziato del Centro Sperimentale, fu ritrovato al confine della Zona Scarti, dieci anni prima il Quartiere Gallaratese.
Era stato colpito alla testa da ripetuti colpi di un'arma contundente e sembrava che le gambe fossero pas­sate attraverso un'affettatrice. Numerosi altri colpi era­no stati inferti all'altezza dell'addome.
Uno spettacolo penoso.
  Uno spettacolo penoso — disse il commissario Falce. Alzò gli occhi dal cadavere steso sul marciapiede e li fece vagare attorno. Una serie di palazzi quasi tutti dello stesso colore circondavano il prato spoglio dove era stato ritrovato il corpo.
Il commissario sollevò il bavero dell'impermeabile. Una pioggerellina sottile e ghiacciata gli stava martoriando il collo.
  Sbrighiamoci — disse, rivolgendosi agli uomini vicino a lui.
Non gli piaceva stare lì. Quel posto era ormai fuori da qualsiasi controllo e se non fosse stato per il fatto che il morto era uno degli alti papaveri, col cavolo che ci sarebbe venuto.
Restò fermo, scrutandosi nervosamente intorno, in­tanto che gli uomini finivano di fare i loro rilevamenti. Il cadavere venne caricato su una vecchia autoambulanza che si allontanò nel buio, a sirene spiegate. Nes­sun mezzo di trasporto che appartenesse alla nuova ge­nerazione veniva utilizzato nella Zona Scarti. L'ultimo era stato bersagliato da decine di molotov. Non ne era rimasto altro che una carcassa fumante.
"D'altronde" pensò il commissario "a chi importava di entrare in quel quartiere?" Non certo ai pochi che erano rimasti a vivere in Superficie: l'elite, i veri potenti, la crème de la crème della società. Gli altri, quelli che vivevano "sotto" avevano ben altre preoccupazioni. E se quel quartiere lo avevano denominato Zona Scarti, una ragione c'era, no?


— Andiamocene — disse il commissario all'improvviso. Era sicuro di aver visto una figura sfrecciare qual­che decina di metri più in là.
Rapidi come manguste, gli uomini, seguiti dal commissario, salirono su una scassatissima fuoristrada e scomparirono nella notte, verso la rassicurante, linda, protetta Zona Residenziale.
Teneva gli occhi puntati sulla schiena del ragazzo e sul braccio che si muoveva in gesti rapidi e precisi. Lo guardò fermarsi, inclinare un poco la testa come un pit­tore che osserva il proprio lavoro e poi spostarsi di qualche metro verso sinistra.
In quell'istante Nolegs potè osservare il disegno sul muro: una cascata di colori violenti e una scritta: Sche-letor.
Nolegs pensò che il ragazzo aveva fatto davvero un buon lavoro e sorrise.
Improvvisamente, lontano, il suono di una sirena.
Il ragazzo voltò di scatto la testa, poi infilò la bombo­letta spray nella tasca del giubbotto e si allontanò di corsa.
Nolegs, invece, restò assolutamente immobile,, gli oc­chi fissi sul murale. Nessuno, nemmeno i governativi - soprattutto i governativi - sarebbero entrati nel Quar­tiere. Quella era la sua zona, sua e di altri scarti umani, non aveva niente da temere. Lui.
Fece un lungo respiro e annuì al vuoto. Sì, decisamente un buon lavoro.
  Capo? — Una voce sottile richiamò la sua atten­zione.
Nolegs mise le mani sui cerchioni e si voltò con un movimento rapido. Le ruote stridevano sull'asfalto.
  Cosa c'è, Pat?
  Dicono che hanno trovato un corpo. — Pat si sistemò meglio sulla carrozzina. Quando si trovava davanti a Nolegs non riusciva mai a stare fermo: si sollevava dal sedile, passava le mani sui cerchioni, si sistemava le gambe; era come se della corrente elettrica lo percorresse tutto. Osservò le braccia muscolose di Nolegs e il gilè di pelle nero, sapientemente aperto in modo da mettere in bella mostra i pettorali.
Gli occhi di Pat non osarono scendere. Sapeva che Nolegs non avrebbe sopportato neanche una fugace oc­chiata al vuoto che una volta erano state le sue gambe.
  Bene — commentò Nolegs e si allontanò velocemente, saltando giù dal marciapiede.
Pat seguì con sguardo colmo d'ammirazione quell'uomo incredibile che sembrava volare, lui e la sua sedia a rotelle (Roller, si corresse mentalmente Pat. Nessuno nel Quartiere chiamava le sedie a rotelle "sedie a rotelle").
Inspirò a fondo e si avviò lento nella direzione in cui era sparito Nolegs. Per lui spingere quella dannata se­dia a rotelle (Roller!) era una pena e una fatica infinite. Da quando era arrivato nel Quartiere - un mese ormai - continuavano a ripetergli che, presto, lo avrebbero dotato di una delle potenti Rollers da combattimento, invece di quella cosa pesante su cui era costretto a muoversi.
Pat sapeva che non gliene avevano ancora data una perché non aveva finito di superare tutte le prove a cui venivano sottoposti i nuovi. L'aspetto irritante di quella situazione era che non si sapeva esattamente in cosa consistessero queste prove né quanto durassero. Sape­va che un giorno si sarebbe svegliato e accanto al suo letto avrebbe trovato una Roller nuova fiammante. Quindi era meglio comportarsi bene, essere leali con i compagni, ubbidienti a Nolegs e prima o poi qualcosa sarebbe accaduto.
Mentre si spingeva fece un sorrisetto amaro. Ne era passata di acqua sotto i ponti se si era ridotto ad avere come sogno una sedia a rotelle (Roller!) nuova. Una vol­ta come sogno aveva di diventare astronauta... Scosse la testa con violenza. Eh no, così non andava! Pat lo sa­peva: inchiodava più la nostalgia che la paralisi. Se avesse continuato a seguire il bandolo di quei pensieri tetri, non solo non avrebbe mai superato alcuna prova, ma nemmeno la fine di quella giornata.
Ciao, Pat.
Una voce dal tono basso che lui conosceva bene, lo bloccò.
Senza voltarsi rispose: — Ciao Lice — e sentì il cuore che accelerava i battiti.
In un secondo la ragazza gli fu di fianco. Doralice detta Lice lo stava squadrando con quella sua espressione a metà tra la dolcezza e il sarcasmo.
  La tua Roller è splendente oggi. Hai pulito la car­rozzeria? — chiese Pat e rise in modo forzato, odiando se stesso per le banalità che gli uscivano dalla bocca tutte le volte che si trovava faccia a faccia con lei.
  La mia carrozzeria è sempre splendente — rispose lei, ammiccando, poi scoppiò a ridere. — Non mi guar­dare così Pat. Stavo scherzando. Lo sai che ogni tanto dico scemenze.
Pat voleva dirle che, no, non erano scemenze: era davvero uno schianto, seduta sulla Roller rosso rubino, con i lunghi capelli castani che le scendevano sulle spalle muscolose.
Lei era una delle poche che esibiva le bellissime e inutili gambe, indossando minigonne vertiginose e col­lant coloratissimi.
Pat sapeva che un incidente di macchina l'aveva costretta sulla sedia all'età di tredici anni. Glielo aveva raccontato Sara, la migliore amica di Doralice. Al vo­lante c'era suo padre, uno degli alti dirigenti del Gover­no, ubriaco fradicio. L'uomo era morto e la figlia, dopo tre mesi di coma, ne era uscita con una frattura alla co­lonna vertebrale. Dopo mesi di riabilitazione nel Centro Sperimentale, era stata dimessa e trasferita nella clini­ca del quartiere di lusso. Lì aveva vissuto con la madre sino a quando aveva compiuto diciotto anni.
Era comparsa una mattina, lì al quartiere, lei e la sua carrozzina rossa. Non le ci era voluto molto per inserir­si. Aveva dichiarato di non voler più tornare a casa e Li­ce era una di quelle persone che non cambiavano le lo­ro decisioni.
Pat se n'era innamorato nel giro di venti secondi, senza possibilità di guarigione.
Lice scherzava con tutti, ma aveva tracciato un invi­sibile confine tra lei e gli uomini, un confine che nessu­no, per ora, era riuscito a varcare.
  Hai sentito del cadavere ritrovato?
  Sì — rispose Pat, riprendendo a spingersi. Si fermò davanti al marciapiede.
Lice s'impennò sulle ruote posteriori, posò le piccole rotelle anteriori sul marciapiede e, con le braccia, fece forza sui cerchioni.
Pat la osservava ammirato. Come Nolegs, Doralice sembrava non fare alcun sforzo nel manovrare la Roller. Sospirò e proseguì per alcuni metri, fino allo scivo­lo. Spingendo e bestemmiando raggiunse la ragazza.
   Quando imparerai a fare i gradini?— gli chiese con aria di leggero rimprovero.
   Quando mi daranno una sedia... Roller che non pesa come un trattore — ribatté Pat.
Arriverà arriverà,.. — disse lei in tono allusivo. Pat non commentò, ma si sentì quasi felice. Forse il
grande momento stava arrivando.
  Lo hai detto a Nolegs? Pat annuì.
  E cos'ha detto?
  Ha detto "bene".
  Solo bene? — Doralice lo scrutava seria.
  Solo bene — confermò Pat. Non sapeva esattamente cosa stesse accadendo, ma l'espressione di Dora­lice non gli piacque.
Non sapeva esattamente chi fosse il morto, ma aveva capito che era un pezzo grosso.
Pat aveva una domanda che continuava a ronzargli nel cervello. Si bloccò e si rivolse alla ragazza: — Lice, è stato Nolegs?
Doralice si bloccò a sua volta, le mani forti strette sui cerchioni gommati della Roller. Rispose senza voltarsi: — Non fare questo genere di domande se vuoi conqui­starti una Roller di prima classe. E, comunque, chiun­que sia stato, non ha fatto altro che quello che doveva.
   Chi era quello? — Pat aveva raggiunto Doralice e, adesso, si stavano spingendo piano verso un locale.
   Un tizio che lavorava al Centro Sperimentale.
   Ah. — Pat non aggiunse altro, ma cominciò a capire.
Nel Centro Sperimentale, situato solo a un paio di chilometri dal loro quartiere, venivano compiuti, per l'appunto, esperimenti. Di che genere fossero, nessuno lo sapeva, a parte i veterani come Nolegs, cioè gente che attraverso il Centro Sperimentale ci era passata.
L'unica cosa che Pat sapeva del "transito" di Nolegs nel Centro, era che le gambe, prima di entrare, le aveva. Non si muovevano, ma le aveva.
  Commissario, qualcuno entra ed esce da questo Centro come si trattasse di un cinema. Lei è uno dei re­sponsabili del controllo, cosa mi dice?
L'uomo seduto dietro la scrivania era uno dei massi­mi dirigenti del Centro e, per come la vedeva Falce, uno dei massimi rompicoglioni dell'universo.
In questo momento lo stava fissando con due occhietti carichi di disprezzo che mandavano lampi da dietro le lenti spesse degli occhiali.
  Non saprei... — Il commissario non fece nemmeno in tempo a terminare la frase che l'uomo dietro la scrivania Io investì.
  La frase "Non saprei" non dovrebbe neanche appar­tenere al vocabolario di un commissario di polizia. Lei, inoltre, viene lautamente pagato da questo Centro per so­vrintendere alla sicurezza. Io non voglio sapere "come" agirete, ma vi dirò "quando", cioè immediatamente.
Il commissario Falce cercava di combattere la tentazione di estrarre la pistola e sparare in mezzo alla fron­te di quello stronzo. Fece di sì con la testa e si voltò.
  Commissario — la voce del dirigente, sprezzante e perentoria, lo bloccò sulla soglia. — In questi giorni stiamo compiendo esperimenti della massima importanza e segretezza. Lei sa bene quanto danno potrebbe arrecare la circolazione di voci incontrollate. I nostri cosiddetti "avversari politici" non aspettano altro per poterci riversare addosso i loro piagnistei umanitari. Noi contiamo su di lei, commissario. Mi sono spiegato?
Falce, mentre il dirigente parlava, era rimasto immo­bile, il viso rivolto al vano della porta, le spalle rivolte al dirigente.
  Certo — rispose e uscì. "Noi contiamo su di lei".
Questo significava che se fosse accaduto qualcos'altro, se un altro scienziato del Centro fosse stato ritrova­to cadavere o, peggio ancora, se avessero cominciato a circolare notizie sul tipo di esperimenti che venivano compiuti in quei giorni, se fosse accaduta anche una sola di queste cose, la sua testa sarebbe stata la prima a saltare.
   Merda — sussurrò il commissario mentre attraversava il lungo corridoio del piano dirigenti a passo lento, le mani in tasca e gli occhi rivolti al pavimento. Di tanto in tanto incrociava un addetto in camice bian­co che lo salutava a voce bassa. Lui rispondeva senza alzare la testa. Non voleva che qualcuno gli leggesse ne­gli occhi il furore e la paura che lo stavano agitando.
   Stai migliorando. — Nolegs si dondolava in equili­brio sulle ruote posteriori della Roller. Di fronte a lui un ragazzo sui venticinque anni stava terminando un murales. Rappresentava il volto ghignante di un uomo; dalla testa del dipinto partivano dei fili che si collegava­no a una macchina che stava a metà tra un computer e una lavatrice.
Nolegs pensò che quell'affare gli ricordava qualcosa.
   Davvero, stai migliorando — ripetè mentre l'altro dava gli ultimi ritocchi al suo capolavoro.
   Questione di tecnica e allenamento — rispose il ragazzo.
  Non sono d'accordo. Il tuo è vero talento.
Il vero talento non so cosa sia. Esistono solo tecni­ca e allenamento.
Nolegs diede un'impercettibile spinta ai cerchioni e la Roller si appoggiò dolcemente sulle piccole ruote an­teriori.
   Sei troppo modesto.
   No, è che so come lavoro.
La tua è arte, ragazzo, credimi. — Nolegs percorse alcuni metri con una spinta decisa.
Dalle sue spalle gli giunse la voce del ragazzo: — L'arte è tecnica e allenamento.
Nolegs sorrise al vuoto. Quel tipo era davvero un os­so duro. Seguiva i suoi murales da un sacco di tempo: era come una mappa. I disegni apparivano sui muri del Quartiere dall'oggi al domani e, adesso, il ragazzo e i suoi compagni si erano spinti anche al di fuori della Zo­na Scarti.
Di tanto in tanto, nella Zona Residenziale, sui grigi muri di cinta delle ville dei dirigenti, apparivano i murales degli Spraymen. Non restavano mai più di qual­che ora sugli ordinati muri dei governativi, ma bastava­no a turbare il sonno a qualche alto papavero.
Nolegs si spinse velocemente lungo il muro di cinta dell'ex ippodromo. Poco più avanti il cancello di ferro della piscina comunale ormai abbandonata. Nolegs se la ricordava ancora piena di gente sguazzante nell'acqua tiepida, sotto il sole bollente di agosto. Erano tra­scorsi pochi anni, ma sembravano secoli. A quei tempi le gambe le aveva ancora e funzionanti.
Diede un colpo più forte alle ruote e aumentò la velo­cità. Era difficile liberarsi dei ricordi. Forse non era nemmeno giusto tentare di farlo. Le sue gambe non c'erano più ma lui era ancora vivo, eccome!
   Vuoi rallentare! — La voce del ragazzo lo fece sus­sultare. Non si era accorto di averlo alle calcagna.
   Chi ti ha detto di seguirmi?— disse Nolegs senza smettere di spingersi.
   Non mi capita spesso di chiacchierare con un vero intenditore. — Il ragazzo, ora, gli stava al fianco. Aveva il fiatone ed era costretto a correre per poter stare die­tro a Nolegs.
   Non mi piace essere preso per il culo — rispose Nolegs.
   Non ne avevo nessuna intenzione. L'ultima volta che ho ascoltato qualcuno parlare di arte ero all'univer­sità. Prima che la chiudessero.
Nolegs si bloccò di colpo e il ragazzo proseguì al trotto alcuni metri prima di realizzare che stava parlan­do da solo.
  Tu andavi all'università?
  Sì, certo. — Il ragazzo guardò Nolegs e gli sorrise. A Nolegs quel sorriso piacque. Capì che non lo stava prendendo in giro, che davvero aveva il desiderio di parlare e non delle solite stronzate.
  Come ti chiami? — chiese Nolegs.
  Pablo. Come Neurda. Mio padre era fissato con Neruda. Diceva che non esisteva nessuno come lui capace di raccontare in versi.
Nolegs annuì.
  Preferisco Lorca — disse riprendendo a spingersi.
Pablo restò fermo un secondo, seguendo con gli occhi Nolegs che si allontanava. Fece scivolare lo sguardo dalle spalle dell'uomo alle mani che afferravano con forza i cerchioni e davano vigorose spinte alle ruote.
Conosceva Nolegs di fama. Tutti nella Zona Scarti lo conoscevano, ma nessuno probabilmente si era mai messo a parlare di arte con lui. 0 di poesia. Pablo scos­se la testa, quasi incredulo e raggiunse Nolegs.
   Perché Lorca?
   Perché sono sempre dalla parte di chi riceve le pallottole.
   Intendevo come poeta, non come uomo.
   È la stessa cosa.
Pablo non fece commenti e continuò a camminare a passo spedito di fianco alla carrozzina.
   Hanno trovato un cadavere ieri — disse Pablo. — I miei compagni dicono che c'entrate voi scarti.
   Carini i tuoi compagni a definirci così. -
   È solo un modo di dire. Hanno ragione?
   Può darsi.
I due si fermarono a un semaforo spento e restarono lì come aspettando qualcosa.
   Dicono che il morto fosse un pezzo grosso del Centro Sperimentale.
   Può darsi.
   Non è che sei molto loquace.
Nolegs si girò verso il ragazzo. Sollevò leggermente la testa e lo fissò a lungo. Non si era mai abituato a quello: guardare le persone dal basso verso l'alto. Osser­varli da lì sotto lo riempiva di rabbia, lo faceva sentire piccolo, incompleto.
  Preferisco parlare d'arte.
Pablo scoppiò a ridere, come se avesse sentito la bar­zelletta più comica del mondo.
   Senti, la faresti una cosa per me?— chiese Nolegs senza abbassare lo sguardo. Quel ragazzo gli piaceva. Era una sensazione che gli nasceva dalle viscere, l'inte­ro corpo - ciò che ne restava - glielo stava dicendo. Do­po essere rimasto immobile in un letto per molti mesi, aveva imparato a cogliere l'essenziale delle persone, il nocciolo, quello che davvero contava dopo che uno si era spogliato di tutti gli orpelli che educazione e co­scienza vigile tentavano di ricoprire. Nolegs pensava di essere in grado di leggere quella che con un po' di co­raggio si sarebbe potuta definire "l'anima".
   Sì. — Pablo lo disse molto semplicemente e anche questo piacque a Nolegs.
  Seguimi, andiamo a bere qualcosa e te ne parlo. Si allontanarono spediti mentre la sera oscurava la
strada e i palazzi vuoti di Milano affondavano nel nero.
I due Guardiani erano immobili al centro della piaz­za. Sudavano copiosamente e non riuscivano a degluti­re altro che paura allo stato puro. Solo adesso capiva­no perché erano stati mandati lì, nella Zona Scarti: il commissario Falce doveva dimostrare alle alte sfere che stava indagando e per farlo aveva bisogno del san­gue di qualcuno, anzi, del sangue di due perfetti nessu­no: loro.
Storpi maledetti — sussurrò uno dei due, il più al­to e sudato.
  Sta' zitto — si precipitò a dire l'altro.
Dieci uomini su luccicanti Rollers da combattimento stavano stringendosi sempre di più attorno ai due. Si muovevano lenti, spingendo i cerchioni con gesti forti e studiati. Giravano in cerchi concentrici che si facevano sempre più stretti.
I due Guardiani ebbero tutto il tempo per studiare le macchine che li avrebbero massacrati di lì a poco.
Rollers in lega ultraleggera le cui ruote piene erano dotate di rostri in acciaio taglienti. Da un tubo di plasti­ca applicato allo schienale spuntavano i manici di man­ganelli di ferro ricoperti di gomma.
I Guardiani sapevano quanto gli uomini seduti sulle Rollers fossero pericolosi. Erano dei combattenti e il fatto di essere disabili li rendeva solo più temibili: non avevano molto da perdere ed erano passati attraverso esperienze di dolore e disperazione che non avevano fatto altro che renderli più determinati.
Nessuno degli Scarti parlava.
All'improvviso, in fondo alla piazza, comparve una nuova Roller spinta da un uomo dalle spalle larghe e possenti che indossava un gilet di pelle nero e nient'altro. Le altre Rollers si bloccarono di colpo, puntando i due Guardiani.
II            nuovo venuto si avvicinò velocemente, passò attraverso un varco tra due Rollers e si fermò a un metro dai due uomini.
   Non ricordo di avervi dato il benvenuto nel nostro territorio — disse, sollevando leggermente la testa.
   Siamo due rappresentanti della leg... — Il Guardiano più alto iniziò a parlare con voce strozzata.
   Non ricordo nemmeno di averti dato il permesso di parlare — continuò l'uomo sulla Roller, senza mutare il tono della voce.
   Non vogliamo problemi — disse l'altro Guardiano. Cercava di sorridere, ma non riusciva a comandare i muscoli della faccia.
L'uomo sulla Roller non abbandonava gli occhi del Guardiano alto che contraccambiava lo sguardo con un misto di terrore e rabbia. Da lui, ne era certo, di proble­mi ne sarebbero arrivati, eccome.
  Sparite da qui entro dieci secondi e dite al vostro capo che i prossimi che manderà li restituiremo un pez­zo per volta. Chiaro?
  Chiaris...
  Chi ti credi di essere, stronzo paralitico, eh? — Il Guardiano alto fissava l'uomo sulla Roller con odio.
Lui non batté ciglio. Sapeva esattamente cosa si sta­va muovendo nel cervello di quel tizio: una miscela esplosiva di odio e umiliazione. Come si permettevano quei paralitici di minacciare lui, Guardiano Governativo dell'Esercito Nazionale? Come potevano dei mezzi uomini, intimare a lui di andarsene? Questo stava pen­sando l'uomo mentre il sudore gli scorreva sulle guance in grosse gocce bollenti.
  Dieci secondi — ripetè e si voltò.
Prima che il compagno riuscisse ad afferrarlo, il Guardiano alto si era lanciato contro l'uomo sulla Roller mentre si allontanava con rapide spinte.
  Bastardo — urlò e cercò di fermare la sedia a ro­telle.
L'uomo sulla Roller si voltò rapido come un cobra e i rostri che spuntavano dalle ruote affondarono nelle gambe dell'assalitore. Il Guardiano lanciò un urlo e cercò di saltare indietro, ma l'uomo sulla Roller afferrò velocemente il manganello infilato nello schienale e lo colpì allo stomaco. Il Guardiano crollò in ginocchio e il manganello lo colpì sul cranio una, due, tre volte.
Il compagno cercò d'intervenire ma, rapide, due Rollers si piazzarono davanti a lui.
L'uomo sulla Roller ansimava e quando sollevò lo sguardo sul Guardiano superstite i suoi occhi erano lucidi.
  Vattene — disse — e portalo via — indicò il corpo. L'uomo si allontanò spingendosi con meno vigore di
prima. Passò di fiancò a una carrozzina vecchio model­lo e lanciò uno sguardo al ragazzo che ci si stava sopra.
  Ciao, Pat — disse senza fermarsi.
  Nolegs — rispose il ragazzo e non aggiunse altro mentre lo vedeva andare via, curvo sulle spalle. Gli par­ve improvvisamente vecchio.
Il commissario guardava impassibile il corpo steso sulla barella. Quando uno di mestiere fa il poliziotto, al­la fine, non s'impressiona più dei morti. All'inizio non era stato così. All'inizio era come se ogni cadavere che incontrava fosse un dito accusatorio puntato contro di lui. Doveva riscattarli, portare loro giustizia per scrol­larsi di dosso quell'insopportabile senso di colpa.
All'inizio.
Adesso, un cadavere non era altro che quello: un cor­po senza respiro, senza preoccupazioni, senza sogni e speranze.
Il fatto che si trattasse di uno dei suoi uomini, non cambiava la situazione, Anzi, era stato ampiamente previsto che i due Guardiani sarebbero stati eliminati. Tutto sommato, era andata meglio di quanto avesse pensato.
  Non ho potuto fare niente — il compagno dell'uomo steso sulla barella si torturava nervoso le mani e fa­ceva correre lo sguardo dal morto al commissario, co­me fosse in cerca di una qualche forma di assoluzione.
  Lo so. Se aveste tirato fuori le armi sarebbe anda­ta anche peggio — disse Falce, poi si girò e uscì dalla camera mortuaria del Centro Sperimentale.
Il Guardiano sopravvissuto lo seguì in silenzio.
Quando furono nell'ufficio, Falce si lasciò cadere sul­la poltrona dietro la scrivania. Fece un cenno all'uomo che lo aveva seguito. Lui ubbidì e prese posto su una se­dia dallo schienale rigido sistemata di fronte al com­missario.
  Sta' tranquillo, non ti farò nessuna nota di biasimo. Dovrai solo startene a casa per alcuni giorni, fino a quando non verrai richiamato. Voglio un rapporto det­tagliato su quanto è successo. — Il commissario si era appoggiato con i gomiti alla scrivania e stava legger­mente proteso in avanti, come un preside alle prese con un alunno disturbato.
   Sì, signore. — L'uomo parlava con voce bassa.
   Va' pure.
   Sì, signore.
Falce aspettò che l'uomo fosse uscito dalla stanza e avesse chiuso la porta per lasciarsi andare contro lo schienale della poltrona e chiudere gli occhi.
Perché non aveva dato retta a sua moglie e non se n'era andato anche lui quando era ancora in tempo per farlo? Ma no, aveva voluto restare. Non per senso del dovere, come credevano tutti, né per difendere il nuovo Governo. Era rimasto perché in vita sua non aveva fatto altro che ubbidire agli ordini e ubbidendo agli ordini aveva fatto carriera, acquistato una discreta fama come poliziotto inflessibile e salito i gradini della considera­zione dei suoi superiori. Lì, al Centro Sperimentale, era qualcuno, aveva uomini che aspettavano solo le sue pa­role per potersi muovere, aveva potere. E nella vita, pensava Falce, si può rinunciare a tante cose, l'amore, la famiglia, l'amicizia, la tranquillità, ma non si può ri­nunciare al potere, per quanto piccolo sia.
"Metti una divisa a un uomo e diventerà un despota" gli diceva suo nonno, buonanima. Un anarchico, un ti­po tosto. Quando aveva saputo che suo nipote si era ar­ruolato nelle forze di polizia, aveva tolto tutte le sue fo­te-grafie dai portaritratti, buttato nell'immondizia i gio­chi della sua infanzia, cambiato la serratura di casa e non aveva più voluto vederlo.
"Vecchio cocciuto". Falce aveva sofferto come un cane, ma non lo aveva mai cercato.
Il telefono sulla scrivania squillò. Il commissario aprì gli occhi e restò alcuni secondi in contemplazione del soffitto. Al quarto squillo allungò stancamente il braccio e afferrò la cornetta.
   Commissario?
   Sì. — Riconobbe subito la voce dell'alto dirigente.
   Venga immediatamente nella Sala Riunioni del Settore A. — Clic.
   Cazzocazzocazzo. — Falce si alzò lento, e lento si avviò verso il Primo Sotterraneo. Sembrava un uomo diretto al plotone di esecuzione. E si sentiva nello stesso modo.
   Cos'è questo? — Il dirigente indossava un camice azzurro chiaro e puntava il dito indice verso la parete destra della sala.
Falce stava cercando d'infilare la manica di un ca­mice che un'assistente dalla faccia foruncolosa gli aveva porto. La lotta durava da alcuni secondi e Falce sen­tiva il peso del disprezzo che il dirigente gli stava dedicando.
Finalmente il braccio scivolò nella manica e lui potè concentrarsi sul punto indicato dall'uomo.
   Un murales? — azzardò.
   Esatto.
Falce non sapeva che altro aggiungere. Scrutò il dise­gno variopinto che si era conquistato quasi l'intera pa­rete. Riproduceva, con segni più ammorbiditi e colori violenti, i monitor che troneggiavano nella Sala Espian­ti Onirici. Quelle macchine gli avevano sempre ricorda­to l'incrocio tra una lavatrice e un computer.
  È inutile che le ricordi che, in teoria, solo il perso­nale autorizzato può accedere a questa Sala. Non par­liamo, poi, dell'accesso alla Sala Espianti... È ovvio che chi ha fatto questo — il dito indice vibrò come la corda di un violino — è entrato nella Sala, ha visto le macchi­ne e ce lo ha fatto sapere. Se lo immagina lei cosa ha provato il Consiglio di Dirigenza entrando qui questa mattina per la riunione giornaliera? — La faccia del di­rigente, mano mano che parlava, andava assumendo un color porpora da far invidia all'autore del murales.
Ha letto lì? — continuò l'uomo senza smettere di puntare l'indice.
Falce aveva letto benissimo, ma non riusciva più a stare fermo, quindi simulò una miopia da talpa e si av­vicinò alla parete. Tutto, pur di non dover guardare quello stronzo in camice celestino.
  Scheletor — lesse ad alta voce.
  Sa di che si tratta?
"Cazzocazzocazzo" pensò. — Sì — rispose conti­nuando a fissare la scritta come fosse il reperto del secolo.
  Allora? — Il dirigente gli si era avvicinato e non gli toglieva gli occhi di dosso.
  È il nome, diciamo, di battaglia di un gruppo di teppisti che vivono nella Zona Scarti. Si divertono a im­brattare i muri del loro Quartiere...
  "Questo" non è il loro quartiere. "Questo" è un Centro Sperimentale sottoposto a massima sicurezza e lei — il dirigente sfoderò di nuovo il dito accusatore e lo puntò contro Falce — ne è il responsabile.
Falce pensò che quella conversazione l'aveva già ascoltata. Sospirò.
  I miei uomini stanno indagando...
  I suoi uomini sono stati massacrati e messi in fu­ga da una banda di paralitici.
Il commissario si girò di scatto e piantò gli occhi in quelli del dirigente.
Quei paralitici sono soldati addestrati ad altissimo livello, sono macchine da guerra perfettamente oliate. Dovreste saperlo, visto che li avete preparati voi. — Girò sui tacchi e uscì dalla Sala Riunioni senza la­sciare all'uomo il tempo di replicare.
"Vaffanculo" disse mentalmente Falce quando fu in ascensore. Lo diceva più a se stesso che allo stronzo in camice azzurro. Era evidente che ciò che stava accadendo nel Centro Sperimentale non rappresentava più un segreto, almeno per quelli della Zona Scarti. Il suo compito, adesso, era impedire che quei bastardi sulle sedie a rotelle portassero la buona novella agli abitanti del Sottosuolo. Una rivolta era l'ultima cosa di cui Falce aveva bisogno.
      Espiantano i sogni? — Pat fissava incredulo Lice. Se ne stavano fermi accanto a una panchina del par­co davanti all'ex riformatorio femminile.
Lice si dondolava avanti e indietro mentre Pat non riusciva a smettere di accarezzare i cerchioni della sua nuova Roller nera. Come previsto, l'aveva trovata accanto al letto quella mattina stessa, senza che nessuno gli dicesse niente. I suoi respiri si erano fatti più veloci quando l'aveva vista, proprio come quando da bambino gli avevano regalato il trenino elettrico che aveva desi­derato tanto.
Adesso, però, i suoi pensieri erano lontani dalla Roller e tutti concentrati sulle labbra di Lice e su ciò che stava dicendo.
  Sì. Praticamente è come se espiantassero un rene o un polmone o un cuore, solo che si tratta dei sogni. — Lice aveva un'espressione cupa e il dondolio della Roller si fece più rapido.
   Ma perché?
   La chiamano Riprogrammazione Globale.
Pat alzò le sopracciglia con aria interrogativa. Nel gi­ro di poche ore era venuto a conoscenza di cose che lo stavano sconvolgendo. La sera prima aveva visto No­legs massacrare un Governativo. Era capitato in quella piazza per caso ed era rimasto affascinato dalle mano­vre che le Roller stavano compiendo attorno ai due po­liziotti. Aveva capito che sarebbe capitato qualcosa di grave e l'arrivo di Nolegs aveva confermato i suoi dub­bi. Ma la cosa che lo aveva sconvolto di più era stata scorgere Lice tra i combattenti.
L'aveva raggiunta più tardi all'ex centro civico, dove viveva, e non era riuscito a tacere. Le aveva chiesto cosa stava succedendo e Lice lo aveva guardato a lungo pri­ma di rispondere. Sembrava stanca. Domani, gli aveva detto.
Era evidente che Lice aveva bisogno di parlare con qualcuno e Pat, nonostante lo sconvolgimento, si senti­va un miracolato.
  Riprogrammazione Globale...
Sì — continuò Lice — Nolegs dice che sono almeno dieci anni che ci provano e ora che sono al governo hanno a disposizione legalmente merce a volontà.
  Quale merce?
Noi — la ragazza fece un sorriso amaro — gli scarti. E non solo. Hanno anche le prigioni a loro disposizione. Intendo quelli che ci stanno dentro, natu­ralmente.
Pat non riusciva a deglutire. — Ma perché?
   Hanno scoperto che le persone possono essere riprogrammate, sai, una specie di lavaggio del cervello, niente di nuovo tutto sommato, ci hanno provato in tut­te le epoche: prendere i sovversivi, gli sbandati, quelli che creano problemi e riprogrammarli, farli diventare cittadini modello, elettori modello, sostenitori modello. — Lice si buttò dietro i capelli e Pat sentì il cuore san­guinare.
   Sono arrivati letteralmente a costruire persone nuove: attaccare braccia, gambe, trapiantare occhi, or­gani interni, insomma, la fabbrica dei corpi.
  Nolegs, anche lui...
Nolegs è quello che si potrebbe definire un esperimento non riuscito. Faceva parte dell'Esercito Nazio­nale...
  Nolegs un Governativo?
Già. Restò ferito durante l'ultima rivolta. Aveva fe­rite gravissime alle gambe. I nostri scienziati pensarono di provare a sostituirgliele con arti artificiali ma duran­te l'operazione gli lesero il midollo spinale. Risultato: gli avevano amputato le gambe per niente perché non sarebbe mai riuscito a camminare nemmeno con arti artificiali. Per via del midollo, sai...
Pat fece di sì con la testa. Sapeva tutto sull'argomen­to: il midollo si lesiona e, zac, è come se qualcun ta­gliasse i fili della luce: la corrente non passa più, fine delle camminate in montagna. E anche in pianura, se è per questo.
Ma, nonostante gli errori, non si sono fermati. An­zi, si sono detti: possiamo agire sui corpi, proviamo an­che sulle menti. La democrazia costa, l'opposizione è fastidiosa, i sovversivi aumentano e noi ci facciamo il cittadino su misura. Il problema è il sonno. Il sonno non sono ancora riusciti a controllarlo e durante il son­no, il cittadino modello, sogna e nei sogni è libero. E i sogni lasciano delle tracce che influenzano la vita del cittadino modello che comincia a "sbandare". Quindi, bisogna agire sui sogni.
Il buio era sceso già da un po' e di Lice Pat riusciva solo a indovinare lo scuro profilo del viso. Scese con lo sguardo lungo quel meraviglioso corpo per metà sodo e per meta ammorbidito dalla mancanza di tono muscolare e sentì qualcosa dentro di lui prostrarsi ai suoi piedi.
Mi segui? — gli domandò Lice.
"Anche all'inferno" si disse Pat e sorrise nel buio per il suo tono melodrammatico. — Sì — fece una pausa e lasciò che la ragazza si rilassasse. Poi chiese: — È Nolegs che ti ha detto tutto questo?
   Sì. Lui ha ancora agganci tra i Governativi e dentro il Centro Sperimentale.
   E quello scienziato morto? — Pat girò la Roller. Il movimento fu troppo rapido e la Roller s'impennò. Il suo cuore fece la stessa cosa e riuscì a non volare a ter­ra spostando con violenza il peso del busto in avanti.
   Merda!
Lice scoppiò a ridere.
  Capita sempre le prime volte — disse. — È leggera.
Pat cercò di respirare con calma.
  Lo scienziato era uno degli agganci di Nolegs
  continuò Lice come se non fosse mai stata interrotta.
  È lui che gli ha rivelato la faccenda dei sogni.

   Perché lo ha ucciso, allora?
   Non è stato lui. Pensiamo siano stati i dirigenti del Centro. Avranno assoldato qualcuno per farlo e lo han­no fatto qui perché la responsabilità ricadesse sugli Scarti. In fondo, è una storia semplice...
Nolegs seguiva con gli occhi il lavoro di Pablo.
Si erano spinti fino al centro della Zona Residenziale dove un susseguirsi di muri lindi e splendenti li aspetta­va come le pagine aperte di un album da disegno.
Cominceremo da lì — aveva detto Nolegs a Pablo.
Poi ci infileremo nel Sottosuolo. Nel giro di pochi giorni tutti sapranno cosa sta succedendo.
   Ci ammazzeranno — aveva replicato Pablo con un sorriso pacato sulle labbra.
   Non sarà così facile. I miei uomini sono abituati a combattere. Abbiamo armi, addestramento, conoscia­mo la Zona Scarti meglio dei Governativi. E siamo in­cazzati. Non sarà così facile fermarci, credimi.
Pablo aveva fatto un cenno affermativo con la testa e aveva seguito Nolegs.
Nolegs guardava il ragazzo dipingere e pensava che, in quello stesso momento, altri Spraymen protetti dagli Scarti stavano dipingendo i muri per tutta la città.
Il telefono di Falce cominciò a suonare appena lui mise piede in ufficio.
Il commissario procedette verso la scrivania senza cambiare la velocità della sua camminata. Arrivò all'ap­parecchio e gli fece fare un altro squillo poi rispose.
   Commissario Falce.
   Commissario... — la voce perentoria dell'alto di­rigente era più stridula del solito — entro stasera vogliamo che il caso del nostro scienziato ucciso venga chiuso.
   Non ho ancora terminato le mie indagini — rispose Falce, conoscendo benissimo la risposta che sarebbe arrivata.
   Non ha importanza. Prendete uno qualsiasi di quei paralitici e le cose si risolveranno. Gli scontri a fuoco capitano in continuazione, no? E se scappa il morto la polizia non ha fatto altro che il proprio dovere.
  Senta...
No, senta lei: ho detto entro stasera. — Clic. Falce posò lentamente la cornetta e restò a fissare la
città che si apriva al di là della finestra dell'ufficio.
Sul muro del palazzo di fronte, una scritta enorme e coloratissima: non ci fermerete, scheletor.

Scosse piano la testa. Se suo nonno fosse stato ancora vivo, in quel momento sarebbe stato felice perché, Falce lo sentiva nelle ossa, la rivolta stava per co­minciare.

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