Tales of Mystery and Imagination

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Nicoletta Vallorani: Snuff movie




Si muore bambini, lo sappiamo tuli.
Ed è la morte peggiore.

Così il tizio arriva e mi dice: — Ehi, si fa un po' di movimento, piccoletta?

Scommetto che ha visto il tulle e si è fatto delle idee. È colpa del mio vestito da ballerina. Uno lo guarda e pensa: questa viene via facile. Il mondo è pieno di poveri fessi che aspettano solo di vedere una bambina solitaria per saltarle addosso. Ma la bambina ha i denti. Questa bambina, cioè, ha imparato a mordere e si è equipaggiata allo scopo.

Gli impianti mi sono costati un occhio, quasi in senso letterale, ma sono perfetti. Non mi devo mai porre il problema di portarmi dietro le mie armi, perché ce le ho addosso sempre, compreso quando dormo: una bella doppia fila di zanne azzurre, deliziose, efficienti.

Naturalmente, è successo tutto dopo che me ne sono andata dalla MultiD, quando ho imparato con dovizia di particolari come possono conciarti se non sai come difenderti. Certi maniaci amano i corpi indifesi: mi hanno scritturato per questo.

Ma io imparo facile: è questo il punto. Imparo facile e non mi arrendo mai. Parlo poco e guardo bene. Aspetto il momento giusto per usare le mie armi.

Mi sono fatta operare e non me ne sono mai pentita. Del resto, non avrei potuto comunque fare a meno dei denti in un posto come questo. Rogoredo: una fogna a cielo aperto dove gli assatanati danarosi vengono a cercarsi le loro prede in svendita.


Proprio come quello che ha tentato di "fare un po' di movimento" con me poco fa. Be', in un certo senso, ho accettato l'invito. Anche se non nel modo che pensava lui. Magari ci è rimasto pure male, il tizio.

Potrei chiederglielo.

Adesso ci penso.

Uno crede di aver visto tutto e di più. Guardo la luce diventare sempre più sbiadita a occidente. L'arancione arrugginito dei vecchi vagoni prenderà fuoco solo tra un momento e sarà possibile immaginarsi com'erano quando la gente li usava per viaggiare.

Mi piace questo posto: starci è come essere sempre sul punto di partire senza farlo mai. Io non parto perché ormai sono tornata. Sono tornata per restare. Sono tornata dopo Berlino-Alexanderplatz e le scatole virtuali, dopo Amsterdam e i mutanti del mare, dopo Londra, New Paris, Barcellona la Rovina fascinosa, Leningrado, Palos, New Mexico e la Kalyfornia.

Sono tornata dopo gli SnuffMovie, e quando si torna dopo una faccenda del genere, non è più il caso di partire.

Ne ho girati di pezzi di mondo, e nessuno mi batte se mi metto a raccontare tutto quello che mi è passato sotto gli occhi. Un catalogo di orrori assortiti, predicatori di menzogne, politici stupratori, signore rifatte, omologhi erotici e synthafreak a quintali. Non ho dimenticato niente e non ho buttato via niente: non spreco, non regalo, non riciclo. Lascio tutto lì, al suo posto, nella sua casella nella testa, come se ogni cosa fosse accaduta appena ieri.

C'è stato un momento in cui pensavo che potevo farci i soldi: girare e vendere campioni della mia memoria infallibile, un tot a ricordo, intatto e perfetto come solo io lo so conservare. Certa gente lo fa. Solo freak, s'intende: quelli che raschiano il fondo del barile per farsi un'altra dose e non hanno idea di dove trovare i crediti per la volta dopo. Ma io so fare di meglio. Perché io sono Ariel, la bambina assassina.

È che mi piacerebbe trovare mia madre. Di lei non mi ricordo niente di niente. So che sono nata qui. So che la donna che mi ha messo al mondo era umana e mi ha scodellata da sola in uno dei vagoni. Che fine abbia fatto non so. Spero non troppo brutta.

Si muore bambini, lo sappiamo tutti.

Però anche così ci sono un sacco di modi per andarsene. Io ho visto i peggiori e certe volte mi è sembrato pure di provarli. Dentro le budella e nella mia testa tutta rifatta. Chissà perché, mi viene sempre in mente al crepuscolo, quando la luce sta per svanire. È un vero casino, perché le urla nel cervello, dopo, non mi lasciano dormire.

Per fortuna la mia pelle liscia non conserva mai le rughe degli incubi. Così, la mattina mi alzo, mi stiro nella luce grigia, passo le mani sul tulle e mi pettino i capelli dritti e bianchi. Poi, con gli occhi puntati verso oriente, aspetto che sia giorno, qui a Rogoredo come in tutta Milano. Con la luce se ne vanno anche le facce delle bambine morte, e fino alla notte successiva posso pensare solo a me. A me e a mia madre. Quella che non ricordo. Alla mia infanzia in mezzo a queste lamiere arrugginite, quando c'erano ancora gli zingari che rac-contavano le storie e i suonatori di synthamusica che ci facevano ballare.

Me ne sono andata.

Se ne sono andati tutti.

Dopo sono tornata, con tutto questo dolore nella testa.

L'ho deciso io, s'intende. Avevo bisogno di un'occasione e l'ho avuta. Quelli della MultiD, in completo grigio inox e senza l'ombra di un'emozione, sono arrivati oui chissà da dove e hanno ricominciato a vendere sogni a tutti noi.

Ricominciato: per un lungo periodo, quella gente è stata fuori da tutti i giochi. Sembravano destinati a squagliarsi tra i nuovi pescecani sul mercato, gente coi oidi e col sintar, geni della truffa cibernetica capaci di ritessere il tessuto della realtà coi fili dell'immaginazione. La MultiD non aveva niente del genere e si era pure fottuta il nome e la fama con quella faccenda delle scali ile dei sogni. Un business miliardario, o almeno lo sembrava, all'inizio. Poi la faccenda non ha funzionato e la legge le ha vietate: immorali, hanno detto. Come se qualcosa di quello che vendono in questo mondo luccicante avesse un'etica. Comunque sia, hanno vietato le scatole, e la MultiD, che su quelle si reggeva, ha avuto un tracollo.

Sembrava stecchita, ve lo dico io. Pareva che non si sarebbe mai più sollevata dalle sue ceneri.

Poi è successo qualcosa che nessuno è ancora riusci-io a spiegarsi.

È arrivato un genio da chissà dove e ha rifatto il trucco alla MultiD, le ha riacconciato i capelli, l'ha rivestita a nuovo e soprattutto le ha dato una dimensione cibernetica strabiliante. Così sono piovuti crediti freschi nelle casse ormai quasi vuote. Freschi e puliti. Questa genie grigia, i Senzapensieri in tight tutti precisi e stirati, sono i figli delle nuove entrate. Soldi veri, dicono, come se ne esistessero di falsi.

Così io sono lì che perdo tempo, coi capelli sottili e marroni di allora e le mie gambe tutt'ossa, e arriva questo tizio in grigio.

Mi fa una gran bella impressione, devo dire. Sono una nomade e non sono abituata ai tipi in tiro, anche se sintetici. Sorrido e lui non fa una grinza. Mi alzo in piedi e lui rimane impassibile. Gli sventolo sotto il naso la mia nudità vestita di stracci e lui non trasecola. Tira fuori un contratto e il suo amico uguale a lui me lo illustra.

Ascolto tutta attenta senza capire un granché: sette anni non sono abbastanza. Il tizio mi promette un futuro da olostar e crediti a palate da godermi appena finito il lavoro. Ammesso che una volta finito il lavoro mi sia rimasta una vita da vivere. Questo però allora nessuno me l'ha detto. L'ho capito col tempo, quando ci siamo messi a girare Il sogno dell'ancella.

Ero già virtualmente morta almeno cento volte. Mi avevano rifatto di tutto, risagomando pelle e muscoli ma lasciando intatto il dolore. Non esiste chirurgia estetica per quello: uno se lo tiene, e cerca di trasformarlo in qualcosa di utile. Non sempre l'operazione riesce. E sono pure fortunata: ai tempi, pensavano che fossi essenziale, sicché non mi hanno mai stecchito sul serio. Si sono limitati a fare in modo che conservassi lo stesso fascino da bambina innocente.

A questo punto, non so più neanch'io quanti anni ho E non m'importa.

È curioso che alla fine io ritorni sempre qui. A Berlino stavo bene: è stato il posto dove ho passato più tempo, a vendere scatole virtuali in Alexanderplatz. Avevo persino degli amici, cioè gente che mi parlava senza pensare che prima o poi gli sarebbe piaciuto farmi qualche giochino interessante. Potevo vivere.

Invece sono tornata qui. Mi mancavano questi tramonti arancioni e senza sole, sepolti nella foschia ovattata, dietro vagoni rovesciati e guarniti di ruggine. Appartengo a questo posto.

O forse il punto è un altro: pensare di appartenere a questo posto mi ha permesso di sopravvivere. Il dolore ti inzuppa le ossa. Uno non ne ha idea finché non ci si trova.

Avete mai visto uno Snuff? Provate a pensarci mentre lo guardate. Provate a pensare alle bambine che erano lì, provate a rendervi conto del fatto che sono carne vera e muscoli e sangue.

Si vorrebbe non aver cervello. Essere un olo, un sintetico, una proiezione mnesica, qualunque cosa tranne che una persona.

Invece sei una persona, e una persona piccola. Una persona che ci ha creduto, a quel contratto sfavillante, e che adesso non serve più.

Alla fine, è solo una questione di mercato. Se sei ab-bastanza richiesta, dopo lo Snuff ti rifanno, ricompongono i pezzi, aggiungono qualche optional e ti rimettono in circolazione. E dopo, un'altra volta, il dolore. Per questo non posso dimenticare.

Mi ricordo gli occhi di Miranda. Quelli veri. Lei non ha avuto il tempo di farsi nessun impianto.

Erano verdi.

Mi viene in mente che non ho mai saputo come si chiamasse davvero. Lei non parlava. Io la chiamavo Miranda. Le piaceva, credo.

La luce diventa più scura. I vagoni si tuffano nel sangue.

All'inizio, mi hanno fatto lavorare davvero come olostar. Niente di impegnativo, cioè: solo quattro salti e contorsioni assortite da duplicare e vendere in formato tridimensionale interattivo. Mi piaceva ed ero dotata. Dei crediti non mi fregava niente: troppo giovane per capirne il valore. Invece mi interessava che mi dicessero quant'ero brava e quanta gente voleva comprarsi gli olo con me dentro.

Mi piace imparare. Allora imparai tutto su come si gira un olo tridimensionale interattivo. Entro certi limiti, il prodotto era confezionato: solo in certe ore del giorno, ti collegavano al sistema e anche gli utenti potevano agganciarsi. La faccenda diventava interattiva. Non era una cosa complicata, all'inizio. Faticosa, questo sì, perché ti trovavi a dover gestire contemporaneamente, in un'allucinazione consensuale condivisa, fino a cinquantadue utenti incapaci di comunicare tra loro che ti usavano come centro di trasmissione. Ma a parte i rischi di sovraccarico non c'era nessun pericolo reale. Nessun dolore, cioè.

Accettai senza problemi di farmi trapiantare gli occhi: l'avevo sempre sognato questo sguardo azzurro e irreale. Intanto i miei capelli erano stati decolorati, le sopracciglia depilate permanentemente e le ciglia sostituite da lunghe protesi scure, molto fascinose, dicono. Nel frattempo, ero stata talmente attenta a quello che mi avevano fatto che se avessi avuto bisogno di altri impianti avrei potuto farmeli da sola anche con una strumentazione minima. Avevo imparato a truccarmi e disponevo di un assortimento di abiti di scena, tutti inutili, dato che dovevo togliermeli due o tre minuti dì po l'inizio del lavoro.

Insomma, la situazione era questa prima che mi im-barcassi nel Sogno dell'ancella. E quello fu il vero inizio.

Dura un'eternità, questo tramonto. Ho il tempo di pensare, pensare a tutto, mentre mi lascio attraversare dalla luce. Anche il mio tulle si incendia e io divento davvero la bambina psichedelica, quella che tanti utenti assatanati amavano. Quella che hanno strapazzato, consumato, fatto a pezzi solo per poi ricomprarla, nell'olo successivo, come nuova con qualcosa in più.

La tecnologia è un miracolo e alimenta la crudeltà.

Io credo che gli Snuff siano sempre esistiti. Solo che un tempo si moriva una volta sola e per mano di un gruppo di persone limitate. Io, invece, non sono più in grado di contare i miei carnefici. E tutti sono ugualmente colpevoli della medesima colpa: stupro, violenza e omicidio di minore.

Tuttavia io sono viva e dimostro ancora poco più di dieci anni. Dieci anni artefatti, certo, e così gonfi d'odio da poter uccidere con le mani e coi denti in meno di un minuto.

Lo sapevi? Be', se non lo sapevi, adesso te ne sei accorto. Peccato che non avrai modo di andarlo a raccontare in giro. Non ti rimetterò assieme, dolcezza: la gente come te è meglio che non circoli per la strada.

Ti guardo e mi rendo conto, come sempre in questi casi, che giustizia è stata fatta.

Io sono Ariel.

Tu sei un cadavere, destinato a rimanere tale.

Il Sogno era già un successo quando ho conosciuto Miranda. Come ho detto, lei non parlava. Non ho mai saputo se fosse nata così o se lo fosse diventata. Non so neanche se quello che vedevo fosse il suo aspetto naturile oppure il risultato di varie operazioni. Credo però che Miranda fosse davvero così, fosse nata così, e non uvesse avuto il tempo e il modo di cambiare.

Per allora, avevo imparato cosa fosse il dolore. Il Sonno era diventato un serial, e aveva un affezionato pubblico di maniaci. In altri tempi li avrebbero messi tutti sotto custodia e sottoposti a tortura o a terapia.

Ma poi, non so.

Credo che la punizione per il tuo crimine sia sempre proporzianale al potere che hai. Non esiste un delitto imperdonabile, almeno non per la legge. E non è solo un problema di oggi. Credo che sia sempre stato così. Non è detto che un assassino di bambini venga incriminato: prima bisogna capire come si chiama, cosa fa di mestiere e chi conosce. Poi si decide.

Miranda non aveva la stoffa per questo gioco. Io e Chloe, la mia amica strafatta più vecchia di me, chiamavamo quelle come lei le vittime. Miranda era una vittima. Non c'era neanche bisogno di guardarla due volte per capirlo.

Girai una puntata del Sogno dell'ancella che quasi mi uccise. Il gioco era semplice. In teoria, funzionava come gli olo tridimensionali: si finiva tutti, attori e utenti, in un'allucinazione consensuale dentro il sistema.

Solo che adesso l'allucinazione era "davvero" interattiva e tutti potevano comunicare con tutti. È una bella cosa quando si è tutti animati dalle migliori intenzioni, un massacro quando si mette una bambina molto sexy senza difese in mezzo a cinquanta maniaci con le fantasie più varie.

Il secondo problema è la violenza delle percezioni. Non è più una faccenda solo mentale. Quando ti svegli, se ti svegli, sei a pezzi realmente; non proprio come se tossi stata lì dentro col tuo corpo, ma quasi. Questa è l'unica faccenda che non ho capito bene come funzioni, e comunque è così. Ai miei cari maniaci io piacevo sacco, sicché anche dopo quel macello i miei padro mi rimisero assieme.

Quando mi svegliai, Chloe era andata: avevo capit che non serviva più e c'era pure la faccenda del sinta che si faceva a chili. Mi aspettavo che se ne liberassero] C'era Miranda con me, solo un po' rattoppata, ma col viso deformato dal dolore. Chloe non c'era più, io e stufa di tutto, Miranda era lì. Insomma non so cornei ma cominciai a raccontare. E Miranda mi ascoltò. Lo avrebbe fatto, ne sono sicura, fino alla fine dei tempi.

Non so perché mi affezionai a lei. Abbiamo tutti b' sogno di qualcuno che ci ascolti. E poi lei era piccola così tanto più piccola di me. Diventò subito la mig| bambina. Forse mi innamorai di lei, non so. Forse volej vo qualcuno di cui prendermi cura.

So per certo che l'ossessione di mia madre comincio allora ed è da allora che voglio scoprire come e da ch| sono nata.

Fa freddo. Succede sempre, la sera. Non ci sono sta gioni, in questo posto, e c'è un vantaggio: si vive sempj nello stesso modo e sempre con lo stesso abbigliamen to. Non parlo per me, naturalmente: io posso vestirmi sempre di tulle. Termoregolazione stabilizzabile e siste ma di autoadeguamento: uno dei miei optionals.

Stendo le braccia e guardo la pelle chiara brillar nella luce esigua. Sottili, gracili, fortissime. Muscolatura sintetica, quella che mi permetterà di disfarmi d questo cadavere. C'è una sola regola, qui a Rogoredo puoi fare quello che vuoi e nessuno ti infastidisce. Ma se fai sporco, devi ripulire. I cadaveri non devono rima, nere a marcire all'aperto perché poi puzzano. È un buona regola, una preoccupazione ecologica.

Per questo e non per pietà, ti seppellirò, mio car maniaco. Ho seppellito una sola persona per amore, qui, e tu non sei Miranda.

In ogni caso, penserò io a te. Meglio di quanto si riuscita a pensare a Miranda.

Alla fine, è sempre una faccenda di soldi. Ne avevo inessi via abbastanza da andarmene e avevo anche qualcosina di abusivo in mano che doveva servire a coprirmi le spalle. Segreti della MultiD. Tutti hanno i loro Cadaveri negli armadi, solo che alcuni puzzano più di nitri. Io ne avevo ramazzati un paio di scomodi e avevo in programma di portarmeli appresso sulla via di fuga. Il successo del Sogno stava scemando, com'era ovvio che succedesse e insomma a un certo punto si sarebbero liberati di me. Ne sapevo abbastanza da riuscire a prevedere il momento esatto in cui sarebbe successo e avevo già sofferto troppo per meritarmi una morte. La faccenda di mia madre era diventata un'ossessione. Tornare indietro con la mente. Rimettere insieme frammenti di memoria per ricostruire una faccia da ricordali' e un nome da chiamare quando ne avessi avuto bisogno.

Poi c'era Miranda. La mia bambina muta.

Stava morendo. Morendo davvero. Si stava spegnendo. Lei era una vittima e dopo solo tre ricostruzioni stava bruciando da sola le connessioni tra il cervello e il cuore. Per autodifesa. Decisi senza pensarci: me la sarei portata dietro. Non era una brutta idea. Ma era sbaglialo il momento.

Amo questo colore. È una cifra precisa nel mio mondo dei segni. L'arancione invade tutto fino all'orizzonte e noi di Rogoredo diventiamo parte dello stesso sogno In un tempo immobile.

Ma il tempo, invece, non si ferma. Questo tramonto, come tutti gli altri, si rovescia nell'oscurità morbida e puzzolente della notte. Ogni cosa mi è così familiare, mentre me ne sto seduta sul binario che porta deciso verso Genova. Portava. Adesso si ferma a pochi metri da qui, per smarrirsi nelle propaggini del labirinto, appena fuori dai confini ufficiali della città.

Forse è questa l'ora in cui sono nata. Di sicuro, è l'ora in cui sono tornata qui portandomi appresso la mia bambina muta, troppo ferita per sopravvivere viaggio, alla fuga, alla grazia concessa per forza a due condannate a morte.

Dev'essere così: quando il processo della giustizia è avviato, diventa impossibile salvare i condannati anche se scopri che non sono colpevoli. Dicono un sacco di cose, ma la ragione vera di questa rigidità è puro sadismo. Sadismo dei carnefici che non possono fermarsi perché non sanno privarsi di un piacere che pregustano da tempo: quello di dare la morte, e di farlo in modo legale. È così: tutto il resto, menzogne.

Miranda era condannata. La bambina muta incolpevole era condannata. Ha avuto cinquantasette carnefici e sei giudici, tutti ugualmente responsabili, tutti ugualmente lieti dell'occasione che è stata offerta loro. Utenti. Gente onesta. Maniaci ufficiali e acquirenti dell'ultima puntata del Sogno. Era scritto che io dovevo sopravvivere. Era scritto nel copione, cioè. Non sapevo quanto sarebbe durata la mia immunità, per cui sono andata a trattare subito la mia liberazione.

Non sapevo di Miranda.

Se anche lo avessi saputo, cos'avrei fatto?

Abbiamo trattato, io e quei sei. Ho pagato il mio prezzo. Mi sono tenuta un po' di garanzie. Ho serbato i miei segreti promettendo di rivelarli all'universo intero se mi fosse successo qualcosa. Di tutti i miei vestiti di scena, ho tenuto solo quello di tulle, il più amato.

Abbiamo trattato anche per Miranda. Mi hanno ascoltato tutti compiti, hanno chiesto il prezzo che ero disposta a pagare, hanno fatto una controfferta. Tutto regolare.

Poi, uno dei sei ha chiesto l'ora a un altro. Si sono guardati, tutti e due, sorridendo sapienti.

Dopo, mi hanno consegnato Miranda. Troppo tardi.

Non ho mai tenuto conto abbastanza dell'importanza del tempo.

Mi alzo e vado a trovarla. L'ho sepolta sotto l'edicola. Dove stava l'edicola una volta, cioè: ci è rimasto solo un box di metallo arrugginito e ricurvo, senza tetto. Dentro i|uel recinto è sepolta Miranda.

Le porto un regalo, qualcosa che ho rubato al tizio che ha cercato di abbordarmi.

Entro nel box, guardo il cielo ormai scuro e coperto di foschia. Un lampione inonda la tomba di Miranda di una luce gialla. Non c'è niente che segni il posto ma io non posso dimenticare. E neanche Miranda, presumo. Comunque questo glielo devo.

Scavo una piccola buca dove so. Ci sono altre cinque piastre, identiche a quella che ho in mano in tutto tranne che per il nome. — Questo è l'ultimo, bambina — diro. — Così sono morti tutti.

Sorrido e ripenso al tizio quando era vivo. Non poche ore fa, quando ha tentato di abbordarmi, seguendo passo per passo il percorso della trappola che avevo preparato per lui, ma sette anni fa, quando ha chiesto l'ora e poi ha fatto quel sorriso sapiente. — Ridi adesso, dolcezza — mi dico. Poi accendo una candela, accarezzo la terra coperta di cenere e cera e me ne vado.

Si muore bambini, lo sappiamo tutti. Quasi sempre.

Volto le spalle e vado. Prima che i sogni diventino cattivi.

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