Niccolò Ammaniti: Il libro nero di Sanremo





Mango se ne stava accasciato sulla poltrona del suo camerino e rifletteva che nonostante fosse da molti considerato l'unica vera alternativa alla tradizione musicale italiana e racchiudesse in sé tutte le caratteristiche più personali di un grande compositore e di un grande interprete, di tutto ciò, detto a chiare parole, non gliene poteva fregare di meno.
Mancavano ormai poche ore all'inizio del festival più importante del mondo e si sentiva depresso come poche volte gli era capitato di essere nella vita. L'esistenza della popstar lo aveva stancato. E odiava Sanremo con tutto il cuore. Un laido baraccone dove da più di dieci anni inscenava la farsa del compositore latino che riesce a raggiungere un respiro internazionale rimanendo imbevuto dello spirito della sua cultura. Ma quale cultura e cultura. Non sopportava più quella settimana di apnea che si doveva sciroppare ogni anno. Una tassa necessaria per poter sopravvivere. I giornalisti sempre a criticarti, il pubblico che si comporta come una banderuola. Pronti a esaltarti, a dirti che sei il più grande di tutti e poi appena molli un attimo, appena hai una normale crisi creativa ti buttano via come uno straccio. E poi c'era sua madre. Mariapia Mango aveva settantaquattro anni e viveva a Lagonegro, in Basilicata. Che errore terribile aveva fatto a montarle in casa il Salvavita Beghelli. Ma lui che ne poteva sapere, che quello era un oggetto infernale, fatto apposta per farti saltare i nervi. Gli era arrivato a casa un pacco dono dalla Beghelli, lo sponsor del festival, e dentro c'era un Salvalavista TV, un Salvalavista Computer 626 e il dannatissimo Salvavita. Lo aveva dato a sua madre, che diceva di soffrire di coronarie e quella ci si era attaccata come fosse un telecomando della TV. Per tre volte Mango si era precipitato a Lagonegro per scoprire che sua madre stava benissimo, era solo in pena per quel figlio che conduceva quella vita zingara. L'ultima volta, in preda a una crisi isterica, lo aveva strappato dal telefono e lo aveva gettato dalla finestra. Ma la madre aveva spedito la garanzia e con una astuzia malvagia era riuscita a farsene rimandare uno nuovo.
Mango si attaccò alla bottiglia di Uliveto e poi si studiò allo specchio. Aveva le occhiaie. Aprì la bocca e tirò fuori una lingua che sembrava un calzino da tennis. Il nuovo look, capello corto, basetta alta e barba sfatta non lo convinceva. Oramai aveva una certa età, non poteva continuare a fare l'adolescente. Tutta colpa di quella cretina della sua parrucchiera.
In questo oceano di dolore aveva almeno una consolazione. Quest'anno cantava “Luce”, un pezzo d'ispirazione new-age, in duo con Zenima, giovane scoperta della canzone italiana di origine mediorientale, le cui doti vocali fuori dal comune ben si sposavano con la raffinata ricerca vocale da sempre al centro della sua esperienza artistica. Oltre che essere una grande interprete era anche una ragazza sensibile, non una delle migliaia di buzzicone che affollavano il palco dell'Ariston. Praticava lo yoga ed era una buona conoscitrice della cultura orientale. Amava l'architettura e il teatro giapponese, le poesie di Emily Dickinson e la musica romantica mitteleuropea. La loro fusione avrebbe potuto far emergere una nuova linea melodica, intimista e meditata, che non aveva niente a che spartire con la merda dei Jalisse.

Doveva radersi. Intinse un asciugamano nell'acqua calda, lo strizzò e se lo mise in faccia per ammorbidire la pelle. Prese un bel respiro e cercò, per cinque minuti, di liberarsi la testa da tutte le preoccupazioni. Stava là là per addormentarsi quando sentì bussare alla porta.
Deve essere Zenima. Poverina, sarà preoccupata, si disse, in fondo l'unica esperienza importante che ha avuto è stata a Recanati con Alex Baroni. "Entra! Avanti!" fece senza levarsi il sudario caldo dalla faccia. Ma non sentì nessuno. Sarà un fan, vaffanculo a quegli imbranati della sicurezza.
"Avanti! Forza!" ripeté, si levò l'asciugamano e si pisciò addosso.
Sulla porta c'era il fan più brutto che avesse mai visto. Era alto quasi due metri, era squamoso, aveva una testa da cavalletta, due chele coperte di bava e sei gambe da aracnide. Lo guardava con tre occhi piccoli e malvagi e apriva e chiudeva una specie di bocca ricoperta di zanne appuntite come chiodi. Mango balzò dalla sedia e corse alla finestra. Erano solo due piani, si sarebbe rotto l'osso del collo ma mille volte meglio vivere su una sedia a rotelle che finire in pasto a quell'essere disgustoso. Provò ad aprire la finestra ma si rese subito conto che non ce l'avrebbe mai fatta. Era di quelle a baionetta, tentò di sradicarla dal muro quando fu avvolto dall'ombra dell'essere, si girò, digrignò i denti, impugnò il phon ma non ebbe nemmeno il tempo di azionarlo che l'insettone gli piombò addosso con le sue mascelle velenose.
E Mango, per la prima volta in quella giornata, si sentì leggero, ma così leggero che perse i sensi.

A più di seimila parsec, tremiladuecento chilometri e non so quanti metri da Sanremo, ai limiti della Nebulosa del Granchio, Altz se ne stava nella sua tana, felice come una pasqua, a covare le uova, quando ricevette un segnale telepatico proveniente dal termitaio: RECARSI IMMEDIATAMENTE AL SETTORE D. SOTTOSCALA 432. BUCA 36/21.
Altz conosceva la buca 36/21. Ci lavorava ormai da settant'anni. Era l'ufficio della polizia federale che si occupava della ricerca e cattura di criminali pericolosi fuoriusciti dalla galassia.
Altz baciò una per una tutte le uova e poi le avvolse dentro a una coperta e uscì dalla tana chiedendosi che cosa diavolo volessero ancora da lui. Stava in maternità, che cavolo.
Quando fu lì, per un attimo credette che quei mattacchioni avessero organizzato una festa. Dieci cavallette se ne stavano spaparacchiate su un divano davanti a uno schermo al plasma e fumavano, bevevano e cantavano insieme a Andrea Mingardi. Sul muro avevano appeso una lavagnetta con su scritti tutti i nomi dei cantanti e i punteggi. Mingardi aveva addirittura 9, lì, alla buca 36/21, era molto amato.
"Ehilà, Altz, vecchio mio. Ti abbiamo chiamato per dirti che siamo molto felici." disse il procuratore Fretsi, capo della buca 36/21, una vecchia cavalletta grigia amata e rispettata dai suoi sottoposti.
"Non sapevo che vi piacesse Sanremo" disse Altz estroflettendo i palpi labiali e cominciando a succhiare una bibita gasata. "Ero sicuro che foste degli appassionati del Festival delle lune di Ganimede. Chi vince?"
"Antonella Ruggiero ha buone chances. Ma non è per il festival, che francamente quest'anno fa schifo, siamo felici per questo, guarda." Fretsi spinse dei tasti e sullo schermo apparve Mango. Era sul palco e cantava insieme a Zenima. "Lo riconosci?"
"Certo. È Mango. È molto amato dalle larve. Ha una tendenza innata a esplorare la musica con nuove frasi melodiche come vuole la tradizione italiana e nello stesso tempo è vicino allo spirito delle grandi charts internazionali."
"No, è uguale identico ma non è Mango. Quello è il malefico Zingam."
A quel nome, Altz si sentì mancare gli arti distali. Zingam. L'orrendo Zingam. Il criminale più inafferrabile della nebulosa. Un insettone fascista con un cordone nervoso di appena tre neuroni e le glandole salivari dorsali. Aveva messo a ferro a fuoco i termitai di Hoyt, ne aveva fatte più di Carlo in Spagna e poi si era dileguato senza lasciare traccia. Era stata la sconfitta più cocente della carriera di Altz.
"E come fate a dire che è lui?"
"Il computer ha prodotto un algoritmo che prende in relazione diverse variabili tra cui il riflesso pupillare, l'estensione vocale, il livello d'istruzione e il numero di scarpa, ed è uscito fuori che poteva essere al 7% il tastierista degli 883, al 1,5% Sergio Zavoli e al 91,5% Zingam. Certo non è Mango."
Altz guardò attentamente la registrazione e si rese conto che non c'erano bisogno degli algoritmi per dire che quello là non era Mango. Stonava come una campana, sputava sul pubblico peggio di Sid Vicious, palpava il culo a Veronica Pivetti e prendeva a calci il direttore d'orchestra Beppe Vessicchio. Era chiaro: Zingam aveva sciolto l'esoscheletro e si era insediato tra gli organi interni del cantante lucano dando origine a una Jejuna, un essere ibrido e cattivo. Esternamente uguale a Pino Mango, ma internamente una cavalletta spietata e cafona. Altz, sentì il vecchio poliziotto che c'era in lui spingerlo a dire: "Capo, vado, lo acchiappo e torno. Intanto, per favore, potrebbe covarmi lei le uova?"

A Sanremo: Mango, barricato nel camerino, era indeciso su come suicidarsi. Meglio come Kurt Cobain o Jimi Hendrix? Era l'unica cosa che gli rimaneva da fare dopo il casino che aveva combinato sul palco. Ma che cosa gli aveva preso? Doveva avere gravi turbe della personalità, in altre parole era schizofrenico. Prima il terribile incubo della cavalletta e poi il disastro sul palco. Aveva toccato il culo alla Pivetti, era caduto giù dalle scale, non si ricordava le parole della canzone. Era come se non fosse lui, come se dentro di lui ci fosse un altro che gli faceva fare un sacco di stronzate. Come se la sua mente fosse stata posseduta da un'entità maligna. Che figura di merda! Zenima se n'era tornata in Medioriente, urlandogli che era un poveraccio, che le sue doti vocali erano simili a quelle di un bulldog asmatico.
E ora gli toccava suicidarsi. Solo così avrebbe salvato la sua carriera dalla polvere, doveva fare come Tenco. Il problema era che in fondo, a quella vitaccia di merda ci era attaccato. E sicuramente, anche se aveva fatto schifo, non poteva essere andato peggio di Ivana Spagna. Cominciò a riflettere su dove avrebbe potuto trovare l'eroina per farsi l'overdose quando bussarono alla porta.
"Andatevene via. Lasciatemi morire in pace. Via! Via!" urlò.
"Apri, per favore, sono Ron."
"Non posso. Mi devo suicidare con l'eroina."
"Ascoltami. Io ti posso aiutare."
Mango gli aprì la porta. "Ci hai la roba?"
Quando Ron entrò Mango lo abbracciò e cominciò a piangere come una fontana. Ron lo carezzava e diceva: "Caro, caro, caro. Non fare così".
Che peccato, ci fossero state le telecamere a siglare tutto ciò. Rosalino Cellamare, in arte Ron: un personaggio che per ventisette anni aveva privilegiato l'introspezione e il riserbo degli artisti autentici sui clamori dello show business, le "voci dentro" sulla platealità e sui ghiribizzi del divismo. E Mango: un personaggio che rifugge dal presenzialismo gratuito ma assolutamente affabile nonostante la figura di merda che aveva fatto.
"Non so che mi è successo, Ron. Sto tanto, tanto male. Chissà che diranno domani i giornali. E Zenima se n'è andata, mi ha lasciato così, come uno stronzo. Quello che hai visto prima non ero io, mi credi?" frignò il cantante lucano.
Ron si rimise a posto i boccoli da paggio timido che stimolavano il senso materno delle ammiratrici e serio serio disse: "Sì amico mio, certo che ti credo. Ora tu mi devi asc..."
Ma Mango lo interruppe: "Allora se mi credi aiutami a scrivere una lettera d'addio. Deve essere una bomba. Deve essere scritta benissimo. Tutti i giornali dovranno metterlo in prima pagina. Così poi prendo il disco di platino e mia madre a Lagonegro è felice". Corse al tavolo e accese il computer. Lo schermò s'illuminò. "Guarda Ron, guarda che bello. Ci ho montato il Salvalavista Computer. È una luce elettronica calibrata che è stata costruita per funzionare insieme al computer e disegnata per illuminare la postazione di lavoro in accordo con il provvedimento della legge europea 90/270/EEC."
Mango fece appena in tempo ad accenderla che Ron cominciò a tremare come se fosse folgorato da una scossa, a sbavare una schiuma verde, a strabuzzare gli occhi e infine a saltare per il camerino rimbalzando contro le pareti come una palla magica e addosso al Salvalavista come una falena contro una lampadina. Mango se ne stava buttato in un angolo e si strappava i capelli e piangeva disperato: "Ron! Ron! Che ti succede? Che ti succede?"
Rosalino Cellamare si rotolava per terra e mugugnava: "Sssssssppppeghhhhhh... ssshhhpppeeeegnn... sppp... il Salvala..."
Finalmente Mango capì. "Vuoi che spenga il Beghelli?"
Ron fece debolmente segno di sì con la testa. Mango lo spense e subito il corpo del cantante di "Joe Temerario" si sciolse senza più vita a terra, apparentemente morto ma un istante dopo cominciò a essere attraversato da un tremito incontrollato, come se stesse gelando. Un'espressione di agonia attraversò la faccia dell'artista ed emise un grido raccapricciante e la bocca cominciò ad allargarsi, allargarsi, allargarsi e spuntò fuori una lunga chela nera e poi un'altra e infine un'enorme cavalletta nera e lucida. Mango disperato si era rannicchiato sotto il tavolo. Era di nuovo in preda alle allucinazioni.
La cavalletta gli si avvicinò e cominciò a parlare: "Ascoltami, non è niente di grave. Tranquillo, noi sei pazzo. Ron tra poco starà bene come prima e non ricorderà niente di tutto questo. Anche tu sei stato posseduto. È per quello che hai combinato il casino sul palco e hai cantato male. Dentro di te c'era un terribile fuorilegge, l'orrendo Zingam. Io sono Altz, un poliziotto, provengo dalla Nebulosa del Granchio e sono qui per portarmelo via. Hai capito?"
Mango non capiva. Urlava e basta.
La cavalletta continuò: "Ascoltami, lo so che non sono bello ma tu pure non scherzi. Dimmi una cosa, per caso hai già acceso il Salvalavista?"
Mango fece segno di sì e poi stentatamente cominciò a parlare: "... dopo aver cantato la canzone sono tornato in camerino e mi volevo rivedere. Così ho acceso la televisione e il Salvalavista TV. Poi non ricordo più niente".
"Ecco qua spiegato perché non sei più posseduto da Zingam. È scappato quando hai acceso il Salvalavista. Quell'affare deve produrre scariche elettromagnetiche con lunghezza d'onda estremamente nociva per noi. Quando prima lo hai acceso mi sono sentito malissimo. Mi sembrava d'impazzire a stare dentro a Ron. Ora, scommetto una delle mie uova che Zingam sarà penetrato in un altro cantante. Aiutami a trovarlo, ti prego."
Mango fece segno di sì con la testa.

Il piano era semplice ma efficace.
Mango e Altz, che si era riinfilato dentro a Ron, dovevano fare il giro dei camerini, andare da tutti i cantanti, prima dalle nuove proposte e poi dai campioni, abbagliandoli con il Salvalavista Beghelli. La scusa era che loro due erano testimoni di quel magnifico prodotto e che il cavalier Mario Beghelli in persona gli aveva chiesto di spiegarne i pregi ai cantanti. Cominciarono subito. Altz/Ron girava la testa quando Mango azionava il dispositivo.
Fu veramente difficile perché la maggior parte degli artisti li mandava a quel paese. Come potevano preoccuparsi di quelle cose mentre, sul palco dell’Ariston, si decidevano le sorti della canzone italiana? Ma i nostri eroi ribattevano che il Salvalavista TV si accende e si spegne insieme al televisore e che la sua luce calibrata rilassa la retina e dà una sensazione di conforto agli occhi. Così riuscirono a illuminarli tutti, e scoprirono che Sergio Caputo era posseduto da un abitante di Andromeda ma che era innocuo e anzi lo aveva aiutato a uscire dal periodo nero e a scrivere “Flamingo”, la canzone che proponeva quell'anno. Tracce dell'orrendo Zingam nessuna.
"Secondo me o si è incarnato in un giornalista o in un ospite straniero. Non vedo altre possibilità." fece affranto Mango.
"Ma li abbiamo controllati proprio tutti, non manca nessuno?" domandò sconfortato Altz/Ron.
Mango consultò l'elenco. "Be', in verità, una possibilità ci sarebbe ancora."

Il pubblico dell'Ariston era in delirio. Mai in vita loro avevano sentito una voce così celestiale e profonda. Neanche Laura Pausini possedeva un'ugola così. Annalisa Minetti era al centro del palco e cantava. Appena ventenne, milanese di nascita, la cantante non vedente era una ragazza con le idee chiare. Sotto l'aspetto spiritoso e il sorriso sbarazzino nascondeva una determinazione e una grinta davvero sorprendenti: quelle di chi ha deciso il suo obiettivo e non si lascia sviare da incidenti di percorso.
Era chiaro che "Senza te o con te", scritta e prodotta da Massimo Luca, era destinata a vincere. Annalisa era passata senza difficoltà all'ultima serata e ora gareggiava testa a testa con i big. Stava per concludere quando sul palco apparvero Mango e Ron. Mango impugnava un Salvalavista. Il pubblicò cominciò a rumoreggiare, i giornalisti, in sala stampa, a battere furiosamente sui tasti dei portatili e gli italiani, a casa, a risvegliarsi dal torpore.
Che volevano quei due? Che stavano facendo? Le guardie, i buttafuori, Raimondo, Eva e Veronica si avventarono sui due cantanti per fermarli. Ron usando colpi di full-contact li buttava giù tutti. L'unica che non si era accorta di niente era Annalisa che continuava a cantare serena. Mango con un salto superò Beppe Vessicchio e si piazzò davanti alla cantante. Gli puntò in faccia il Salvalavista Beghelli e lo accese. Annalisa strillò come se le avessero gettato del vetriolo in faccia e poi disperata urlò: "Bastardo! Spegnilo subito!"
Si girò e con un incredibile salto montò sulle ripide gradinate lanciando componenti dell'orchestra della RAI a destra e a sinistra. Improvvisamente sul teatro calò un silenzio innaturale. Nessuno fiatava, poi qualcuno cominciò ad applaudire, e tutti si unirono esplodendo in un boato. Una cicciona coperta di pelliccia si alzò e urlò: "Miracolo! Miracolo! Il Salvalavista Beghelli ha ridato la vista ad Annalisa Minetti". E tutti gli italiani urlarono "Miracolo! Miracolo! Ci vede!". A casa sua il cavalier Mario Beghelli si masturbava dalla felicità.
Ma non era ancora finita. Mango la raggiunse e la folgorò di nuovo. Annalisa cadde a terra e cominciò a tremare e a sbavare come un epilettico. Lo share ponderato era del 100%. Le centraline dell'auditel esplodevano. Mandarono la pubblicità. La gente a casa spaccava i mobili. Volevano sapere. Quando finalmente ritornò il collegamento videro una cosa incredibile: il palco era pieno di gente svenuta. Anche Raimondo Vianello giaceva senza sensi accanto a Ron. Annalisa Minetti era accasciata, apparentemente morta, sulle scale. Al centro, sotto la scritta SANREMO, c'erano due enormi cavallette nere che si fronteggiavano in una danza di morte.
Alla fine una fu più rapida dell'altra. Montò sopra l'altra, e le strinse le mandibole intorno al collo sottile. Poi, una luce potentissima: centomila watt di potenza inondarono l'Ariston. Quando si spense le due cavallette erano scomparse.

Il 48° Festival della canzone rimase memorabile, anche di più di quello dell'85, in cui vinsero i Ricchi e Poveri con “Se m’innamoro”.

Mango ricevette insieme a Zenima il Premio della critica e una medaglia al valore da Oscar Luigi Scalfaro. Con la sua canzone “Luce” sbancò le chart internazionali.

Annalisa Minetti vinse il festival. Divenne più famosa della Pausini, soprattutto in Nicaragua.

Il cavalier Mario Beghelli diventò, se possibile, ancora più ricco. Lo scultore astigiano Alex Pompucci gli eresse una scultura in oro zecchino al centro del Palafiori. Il Salvalavista divenne parte dell'armamentario dei due di “X-Files”.

L'orrendo Zingam fu condannato a scontare centomila anni di detenzione nella colonia penale di Hyperion.

Le uova di Altz si schiusero. Dodici piccole e scatenate cavallette che fecero la felicità del poliziotto.

E Ron? Ron se ne andò a vivere in un pianeta della Nebulosa del Granchio e vinse il Festival di Kassd. Basta con Sanremo.

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