1
Vi hanno mai detto “Guarda che faccia da delinquente”? Io me lo sono sentito dire tante volte che ho perso il conto, da quando una graffetta tiene ferma la mia effigie in un dossier criminale. Ciò che è paradossale è che, ora che sono morto, di me non è rimasta che la faccia, destinata a sopravvivere, per decenni se non per secoli, nella foto segnaletica che mi fece la polizia quando mi arrestò.
E per decenni o per secoli chiunque vedrà quella foto ripeterà: “Guarda che faccia da delinquente”.
2
Non aspiravo a questa semi-immortalità. Me la sono ritrovata addosso senza averla preventivata. Direte: è ciò che accade normalmente con le fotografie. Sì, però una foto segnaletica non è una rappresentazione oggettiva. Ti raffigura in un attimo della tua vita particolarmente drammatico.
Non c’è oggettività: se l’identikit è essere prigionieri della soggettività altrui, la foto segnaletica è l’essere prigionieri del proprio tormento e della propria umiliazione.
3.
Chissà dove sono finite le tante foto che mi fecero da ragazzo. Lì ero sempre sorridente. Fino ai 12 anni di età, io, Graham Young, intenerivo le vecchie signore e venivo coperto di complimenti. “Un cherubino biondo”, così mi chiamavano. Una delle meraviglie dell’angolo verde del Berkshire in cui ero cresciuto. Da parte mia, ero incuriosito da tutti. Pur senza avere malattie particolari, provavo difficoltà a muovere bene gli arti. Li sentivo estranei. Invece, chi avevo attorno sembrava avere sul corpo un dominio perfetto.
4.
Mi piaceva la gente. Proprio così. Come si muoveva, come agiva. Naturalmente, oggetto privilegiato della mia curiosità erano i miei familiari. Mi sentivo goffo, rispetto a loro. Ammiravo mio padre quando sedeva con disinvoltura in poltrona, le gambe accavallate e il giornale tra le mani. Ammiravo mia madre, mentre si muoveva con eleganza nella piccola cucina di casa nostra.
NON STARE SEMPRE IMPALATO A GUARDARMI, GRAHAM. GIOCA, FAI QUALCOSA.
5.
Soprattutto mi incantava la mia sorellina. Un batuffolo biondo, grazioso quanto me, ma molto più mobile. La pelle delle sue manine mi sembrava trasparente, e adoravo la motilità delle sue dita. Ci doveva essere un segreto dietro a tanta grazia. Non poteva trattarsi di un fattore meccanico. Quello lo possedevo anch’io. Doveva essere questione di fluidi, di composizione chimica.
6.
Lo constatavo soprattutto in Alex, il mio migliore amico. Agile, elastico, pronto al salto e alla corsa. Una sola volta lo vidi perdere la sua meravigliosa energia. Gli avevo fatto bere certa birra scadente, dimenticata in cantina. Fu la conferma che era la chimica a governare muscoli e nervi. Impadronirsi della chimica significava dominare il moto e la sua assenza.
STO MALE! NON RIESCO NEMMENO AD ALZARMI!